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i Demoni di San Pietroburgo
Italia, 2008
di Giuliano Montaldo, con Miki Manojlovic, Carolina Crescentini,
Filippo Timi, Roberto Herlitzka, Anita Caprioli, Giordano
De Plano, Sandra Ceccarelli, Patrizia Sacchi
La grande forma della fiction
recensione di Marco Giallonardi
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Raccontare Dostojevskij oggi, i
suoi dilemmi sullefficacia delle azioni terroristiche contro i
soprusi dei potenti, la sua figura contraddittoria e lacerata internamente,
fino alla malattia terminale: Giuliano Montaldo torna al cinema recuperando
un progetto vecchio di ventanni, adattandolo per il grande schermo
grazie allintervento di Rai Cinema e Jean Vigo Italia. Il prodotto
è sontuoso, nei costumi di Elisabetta Montaldo come nelle scenografie
di Francesco Frigeri, ma soprattutto nel solito mirabolante lavoro sullimmagine
condotto da Arnaldo Catinari, il direttore della fotografia con la D
maiuscola, a quasi 45 anni divenuto ormai il maestro indiscusso.
Soffermiamoci però un attimo sulla misura produttiva del progetto,
più che sui contenuti che veicola; i quali, a dirla tutta, non
sono nuovi, tanto meno nella filmografia di Montaldo: le bombe non aiutano
semmai rovinano le cause, combattiamo lo sfruttatore ma con larma
della politica, della giustizia, senza vittime innocenti - la vita umana
come valore che accomuna tutte le cause e tutti gli ideali, in parole
povere. Non sappiamo e non abbiamo capito se questo sia nato come progetto
per la tv o sia stato sin dallinizio concepito come un film per
il cinema. Certo il grande schermo lo nobilita parecchio, lo fa vivere
in tutta la sua magnificenza. Ma mentre lo guardi, mentre ascolti i
dialoghi tra i personaggi, mentre vivi delle interpretazioni dei suoi
attori protagonisti, precipiti in un paradosso: il paradosso di trovarsi
di fronte ad un ibrido, ad un progetto che non riesce a collocarsi in
nessuno spazio di fruizione in particolare, sospeso tra la riduzione
televisiva e la confezione per il cinema, tra la ratio narrativa e la
chiusura dei piani propri della fiction e la riuscita innegabile di
scene dazione emozionanti come quella in Siberia, sui ghiacci.
Troppo spesso, e a ragione, al cinema italiano si imputa la colpa di
essere scialbo e riduttivo proprio nella confezione, e per questo di
non riuscire a sfondare sui mercati esteri, specie in quello americano,
dove gli standard qualitativi sono più alti, particolarmente
nello spazio dei prodotti medio-bassi. Il cinema italiano viene accusato
di essersi televisivizzato, rinchiuso negli stilemi e nelle dimensioni
del piccolo schermo. Nellimmagine, negli interpreti, nelle musiche.
Per alcuni di questi elementi riconosciamo che ii Demoni di
San Pietroburgo sia un prodotto tipicamente televisivo, un
ottimo prodotto per la prima serata di Rai Uno ma nulla più:
la recitazione affrettata e fredda di tutti gli attori (al di là
di qualche faccia azzeccata, come Manojlovic o De Plano), leccessiva
letterarietà dei dialoghi, la presenza invadente di una musica
troppo didascalica, un lavoro frettoloso e poco convincente nelle tante
scene di massa. Al contempo però I demoni rigetta langusto
spazio del piccolo schermo proprio per questa sua intenzione formale
ricca, per questo non richiudersi sempre e comunque su soluzioni di
regia comode, su una strada netta: non è semplice distinguere
aspetti e motivazioni, non è così chiaro dove inizi una
forma e dove finisca unaltra.
Il meccanismo produttivo italiano, ormai raggomitolato su se stesso
e bisognoso di capitali della televisione per realizzare nuovi prodotti,
si avvia con sempre più decisione sulla strada di unibridazione
delle forme pericolosa, che quando tende alla tv nei prodotti per il
cinema ci preoccupa, e quando invece sfiora il cinema nei prodotti per
il piccolo schermo ci fa ben sperare.
Peccato che chi ha in mano il boccino e decide delle sorti del cinema
italiano, ai dilemmi estetici sappia solo e soltanto anteporre questioni
di ordine finanziario.
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