Era solo questione di tempo prima
che qualcuno prendesse di mira i Darwin Awards e ne facesse un film.
Cinismo e umorismo sono sempre stati alla base di ricette più
o meno vincenti, spesso interessanti, tanto in letteratura quanto nel
cinema, e di questi due ingredienti il fenomeno dei Darwin Awards ne
è pieno. Cè addirittura un sito (www.darwinawards.com)
che li monitorizza e ne tiene il conto, ma per chi non fosse al corrente,
sintetizziamo brevemente: viene conferito un premio Darwin a quegli
incidenti, spesso concludentisi con la morte del protagonista stesso,
che si fanno notare per la loro stupidità, ma anche per un certo
intrinseco grado di sciocca creatività. Lidea alla base,
che giustifica il nome del padre dellevoluzionismo, è che
queste persone vadano premiate, anche postume, per il loro zelo nel
volersi togliere dal mondo, e quindi eliminare il proprio dna dal pool
genico della razza umana, data lindiscutibile mancanza di intelligenza
dimostrata per lappunto con lincidente. Come a dire: grazie
per esserti tolto di mezzo da solo: la specie - senza di te - è
senzaltro più avvantaggiata nella lotta per la sopravvivenza. Finn Taylor scava a piene mani in questa commistione di humour nero, incuriosito dallaura di vera e propria leggenda urbana che circonda questo fenomeno, e ne sposa alcuni tratti, che gli servono per costruire lintelaiatura del suo film. Michael Burrows (Joseph Fiennes) è un ex poliziotto con lossessione dei premi Darwin (in effetti di ossessioni ne ha più duna, e pure la fobia del sangue: sviene non appena lo vede), tanto che è convinto, avendo passato anni a studiare tutte le casistiche, di poter stilare una personalità tipo e poter così prevedere gli incidenti tipici della fisionomia darwiniana. Si propone ad una compagnia assicuratrice, e si vede da questa affiancato la bella Siri Taylor (Wynona Ryder): entro un periodo limitato di tempo deve poter dimostrare il potere predittivo della sua teoria, solo in tal caso sarà assunto come consulente. Da qui inizia il viaggio dei due nei posti più disparati degli Stati Uniti, ad indagare su un mucchio di morti decisamente strampalate ad opera di menti decisamente poco evolute. Laspetto on the road del film, il suo girovagare rapsodico da un caso bizzarro ad un altro, sono senzaltro il punto di forza della storia: è innegabile che alcuni degli episodi in cui Burrows e Taylor si imbattono - e il modo peculiare del primo di indovinare la verità dietro lapparenza inspiegabile- siano sufficientemente ispirati tanto nella scrittura quanto nella messa in scena da risultare effettivamente esilaranti. Taylor - il regista - sceglie inoltre un registro e uno stile dietro la macchina da presa che si sposano bene con le tematiche da humour nero, ma al contempo non sembra dominare a sufficienza proprio quel tocco che lui stesso ha scelto, e troppo spesso la verve e la disinvoltura ostentata nelle riprese inducono il sospetto di essere usate come copertura un po piaciona per una grana di sceneggiatura non troppo fine. Senza dubbio il materiale "darwiniano" avrebbe potuto essere sfruttato meglio: il motore narrativo del rapporto tra Fiennes e la Ryder oltre che essere un po scontato, in più di un momento gira decisamente a vuoto, come se landamento un po da loser che caratterizza tutto il film - e in ultima analisi lo stesso Burrows- avesse nefastamente colorato anche gli stessi snodi narrativi della storia, che procede in maniera sempre più sgangherata e segna decisamente il passo non appena finisce la serie dei suicidi accidentali. Né la presenza dei Metallica e di Lawrence Ferlinghetti (chi era costui? solo un importante poeta newyorkese del movimento beat) bastano per ridare luce a questa pellicola riuscita a metà. |