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Abdellatif Kechiche porta sullo
schermo una vasta epopea familiare dalle mitigate tinte orientali: immerge
lo spettatore in un racconto visivo - ma soprattutto verbale - che si
prende tanto, forse troppo, tempo per raccontare e mostrare personaggi,
legami, scene di vita vissuta e piccoli frammenti della quotidianità
di una famiglia araba che vive a Marsiglia. La pellicola si svela pian
piano, fa prendere confidenza allo spettatore con i protagonisti, evita
un impatto diretto: fin dallinizio ci mostra un ragazzo che sembra
apparentemente estraneo alla vicenda che ha come protagonista Slimane,
un sessantenne impiegato al cantiere navale; procedendo oltre con la
narrazione scopriamo che invece è suo figlio ed è strettamente
legato al destino del padre.
Slimane è il fulcro della storia, il punto di congiunzione tra
i numerosi personaggi che, come tanti piccoli satelliti, gli gravitano
attorno popolando il film come la sua vita: marito divorziato di Souad
che tra figli, consorti e nipoti gli ha donato una famiglia numerosa,
compagno della proprietaria di un hotel e patrigno di Rym, sua figlia
e dolce consigliera.
La narrazione scivola lenta sui dettagli, sul gusto di ricostruire con
precisione i rapporti umani nella loro accezione più vasta, dai
litigi tra marito e moglie a quelli tra madre e figlia, dai preparativi
per il cous cous alla sua consumazione lenta su una tavola che diventa
terreno dincontro e di scambio tra persone e culture diverse perennemente
pronte a conversare tra loro. Il linguaggio è accurato, ricercato
con estrema perfezione per aderire il più possibile al reale,
a volte ridondante. Si parla e si sparla di tutto, in ogni modo e con
qualsiasi tono, si ride, si scherza e si affrontano argomenti seri,
proprio come succede nella vita di tutti i giorni. Come il linguaggio,
anche i problemi sono perfettamente reali. Slimane perde il posto di
lavoro ma non la forza di volontà e la determinazione e, nonostante
letà e levidente problema economico, progetta la
sua nuova attività: aprire un ristorante di cous cous di pesce
e altre specialità su un barcone, che diventa così inizio
e fine del film. Lidea è brillante e permetterebbe a Slimane
e alla sua famiglia di guadagnare bene investendo ciò che in
casa loro abbonda: lottima cucina della sua ex moglie, la manodopera
dei figli, la praticità di Rym e labbondanza di pesce (messa
in evidenza proprio allinizio del film, con Souad che si lamenta
e il frigorifero che ne è pieno). Si fa il tifo per lui, si pena
insieme per i vari giri burocratici a cui è costretto, si soffre
quando è Rym a dover parlare per supportare e argomentare la
sua idea, ma soprattutto si assiste stanchi e infastiditi alla sua inutile
corsa dietro ad un motorino.
E mentre lui è fuori della sua barca, stremato, la figlia, altrettanto
stremata da una prolungata danza, cerca di salvare il futuro del padre,
forse inutilmente. Il finale, più amaro che dolce, lascia perplessi,
delusi. Ma forse bisogna vedere oltre. Il barcone riunisce le due famiglie,
le due vite di Slimane: luna non può tollerare laltra,
ma si trovano nello stesso posto e nella stessa situazione per lui.
Si può ancora sperare?
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