Coffee & cigarettes
Esercizi di stile
di Adriano Ercolani


Venezia 60 - 2003
  id., Usa, 2003
di Jim Jarmusch, con Bill Murray, Cate Blanchett, Steve Buscemi, Alfred Molina, Roberto Benigni, Joye Lee, Iggy Pop, Tom Waits, Jack e Meg White.


Arrivano finalmente racchiusi in un’opera felicemente aperta e soavemente coerente, i vari cortometraggi che Jim Jarmusch ha iniziato a girare a partire dal 1984, e che hanno come unico filo conduttore una buona tazza di caffè nero ed una saporita sigaretta, da consumarsi preferibilmente insieme a qualche amico o conoscente, meglio se stravaccati in un qualsiasi bar a parlare di massimi sistemi uniti ad universali amenità.
Attraverso il minimalismo ironico di una situazione come quella appena descritta, l’autore di Dead Man e Ghost Dog riesce a costruire una galleria di personaggi/maschere/attori stralunati, spaesati, divertentissimi. Tentare di raccontare – ma anche solo di ricordare – di cosa parlano i vari episodi è impresa tanto difficile quanto vana: l’unica strada da percorrere è quella di perdersi con i protagonisti dietro un fiume praticamente ininterrotto di parole, di gesti, di sguardi carichi di significativa vaquità.
Jarmusch unisce le storie più disparate grazie alla sapiente costruzione di un’atmosfera sospesa, rarefatta, in cui chi parla e chi ascolta sono ugualmente immersi senza la minima possibilità di apparire veritieri: in un tale magma di densissima rilassatezza discutere di qualsiasi cosa si trasforma in esercizio di stile, gioco leggero diretto verso la pura propensione al ciarlare. In questo modo la parola, che avrebbe potuto agire come fine a se stessa, si fa invece foriera di una galleria di personalità ben precise, sardoniche e sfaccettate al limite della surrealtà. Interpreti grandiosi come Bill Murray, Steve Buscemi o Cate Blanchett trovano poi la vena interpretativa giusta per riempire i propri personaggi di sfumature di rara vivacità, definendoli attraverso un gesto annoiato, uno sguardo scazzato, uno sbuffo d’irritazione. Di Coffee & Cigarettes ci rimarranno soprattutto loro, questi pupazzi tristi e senza meta costretti a sedere intorno a un tavolo e a cercare un senso inesistente; eppure, quello che viene sprigionato da tali situazioni è divertimento giocoso, allegria contagiosa, in alcuni momenti intrepido sarcasmo. Il regista ed i suoi interpreti si divertono un mondo a scherzare sul niente, a comporre quadri di lucida e trasparente inconsistenza, invitando con sincerità lo spettatore a prendere parte alla giostra immobile. Il cinema che scaturisce da tutto questo è a tratti pura poesia del non-senso, splendido esempio di come si possa costruire attraverso il non-detto un universo di significazioni assolutamente plausibile nella sua mancanza di senso logico. L’esempio più riuscito è il corto più bello, che vede protagonisti Alfred Molina e Steve Coogan, parenti serpenti invidiosi ed astiosi: splendidamente costruito su una struttura reversibile, ne viene fuori un piccolo gioiello di ‘misunderstanding’ prima dialettico e poi culturale, in cui la parola e la conversazione servono più a confondere che a spiegare. Assolutamente spassoso. Da vedere al cinema, magari entrando di soppiatto, con sotto la giacca un thermos di caffè ed una camel pronta per essere accesa.