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Avete presente, miei cari lettori,
quando la mattina vi semi-svegliate ed il primo, unico impulso è
quello di correre in cucina alla ricerca di qualsiasi cosa sia ingeribile
sotto forma di liquido, e dal sapore anche vagamente dolciastro? Ebbene,
per questa entità che dovrebbe fungere da colazione possibilmente
servita in tazza grande io ed i miei coinquilini abbiamo coniato
il neologismo di mommio parola che, a rigor di logica,
va pronunciata come mmoommmmmmioooo vista limpossibilità
a connettere e quindi parlare propria di chi si è appena svegliato,
soprattutto a casa nostra
Tutto questo per dire che tale, parabolico
infuso è lunico protagonista interessante della prima ora
di questo nuovo film di Zhang Yimou, in quanto condito con
un funghetto (probabilmente) allucinogeno che prima o poi farà
stonare di brutto limperatrice. Tutta la trama shakespeariana
che viene intessuta in la Città proibita ruota
intorno a questo progressivo avvelenamento, che più che rincretinire
Gong Li ha il solo effetto di gelare il palazzo reale. Finché
infatti la vicenda si svolge tra le magniloquenti mura della reggia,
non succede proprio un bel niente. Come i protagonisti escono dalla
città proibita e vanno anche solo alla locanda li vicino ecco
che si scatena lazione, molto ben orchestrata a livello visivo
anche se non particolarmente originale il momento migliore del
film rimane il primo duello di spada iniziare tra padre/imperatore e
figlio. Lanemia radicale di azione per un wu xia pian, anche se
diretto da un esteta decisamente celebrale come Zhang Yimou, è
un difetto imprescindibile. Ed anche quando lo scontro arriva, è
decisamente mal organizzato a livello di ritmo, perché condensato
in ununica, ridondante battaglia di dieci minuti, mentre per il
resto del film non succede praticamente nientaltro inteso
ovviamente a livello di drama, di azione che genera reazione. Lincipit farsesco di questa recensione è servito in verità per mascherare, e neppure poi così tanto, la cocente delusione che la Città proibita ci ha purtroppo regalato, non riuscendo ad allontanare la noia neppure con le armi ormai esageratamente esplicitate di un cinema estetizzante. Lautore cinese sembra aver definitivamente perso di vista la strada della narrazione in favore di quella della metafora: se già il potente Hero soffriva di questo squilibrio ed il successivo la Foresta dei pugnali volanti ne veniva sopraffatto, con questultima pellicola ci troviamo di fronte ad una vera e propria implosione del genere dentro una forma cinematografica che diventa fine a sé stessa. Yimou perde di vista il senso del racconto, o meglio del ritmo interno necessario ad ogni drammatizzazione, e si abbandona alla fascinazione cromatica di una messa in scena non giustificata, quindi troppo spesso forzatamente espressionista. Spintosi evidentemente fino al limite della sua poetica visiva, il cineasta ha dimostrato di non saper padroneggiare con equilibrio la materia cinematografica, rendendo il rapporto tra forma e contenuto una vera e propria dicotomia. Da Zhang Yimou è lecito attendersi una ben maggiore spessore narrativo ed una più precisa attenzione allo sviluppo drammaturgico dellopera. |