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Va savoir!, Francia, 2001 di Jacques Rivette, con Jeanne Balibar, Marianne Basler, Hélène de Fougerolles, Sergio Castellitto, Jacques Bonnaffé, Bruno Todeschini Tre donne, tre uomini, il teatro, un passato da svelare, i tetti di una assolata Parigi e tutta una serie di combinazione fra questi elementi che rendono questa leggiadra pellicola una delle perle della programmazione cinematografica del 2002, passata troppo in silenzio e troppo in ritardo (presentata al Festival di Cannes nel 2001!). Peccato per un film talmente sorprendente e accattivante, frutto di un mestiere intrapreso più di cinquanta anni fa, ma pervaso da una verve, un entusiasmo e una sincerità che difficilmente si trovano anche in registi più giovani. Non sarà un caso che, negli ultimi anni, "mostri sacri" della storia del cinema facciano film tanto leggeri e stupefacenti (basti pensare al Resnais di Parole, parole, parole) o riescano a utilizzare al meglio le tecnologie più avanzate, fondendole con una narrazione rigorosa (il Rohmer di La nobildonna e il duca o l'Oshima di Gohatto-Tabou). Chi lo sa si inserisce a pieno titolo nelle migliori prove di Rivette, e sicuramente del nuovo panorama europeo, recuperando da un lato la tradizione della commedia sofisticata alla Lubitsch e dall'altro quello che è sempre stato uno dei punti di forza del regista francese: l'improvvisazione e il gioco dei personaggi. Dialoghi scritti il giorno prima delle riprese; la messa in scena dello spettacolo di Pirandello Come tu mi vuoi affidata a Castellitto la mattina, per poi essere registrata il pomeriggio; attrici bellissime e seducenti e un'indimenticabile Jeanne Balibar (musa per le nuove leve di registi rive gauche, da Mathieu Amalric, suo compagno nella vita, a Arnaud Desplechin o Bruno Podalydes); un Sergio Castellitto in forma ottima e soave (tanto da sostituirsi all'interpretazione in L'ora di religione); una Parigi che vive prepotentemente, anche se vista quasi sempre dai suoi interni o dai tetti; e la commedia umana, gli intrecci fra i personaggi e il loro eterno presente, l'attimo colto da un mormorio ripetuto in solitudine. Je veux, je veux pas, je peux, je peux pas Camille (Jeanne Balibar) entra in scena mormorando una serie ripetuta di frasi, quasi una melodia che ritorna in tante occasioni, accompagnata dal controcanto di un volto perennemente stralunato. Il suo sguardo sul mondo è sempre fra l'inadeguato, l'introverso, l'infastidito e il sognante. Divide la vita fra il doloroso passato parigino, l'eterno presente ripetuto sulla scena del teatro semivuoto (ogni sera diverso, dal momento che si tratta di una performance dal vivo) e il suo presente reale, in bilico fra Ugo (Sergio Castellitto) e Pierre (Jacques Bonnaffé). Tutto il film si basa su tale intersecarsi dei sentimenti e dei possibili o probabili rapporti fra le persone: Camille-Ugo, Ugo-Do, Do-Arthur, Arthur-Camille, Camille-Pierre, Pierre-Sonia, Sonia-Arthur. Una sorta di commedia ad intreccio, come quelle di Goldoni, di cui Ugo cerca l'opera inedita Il Destino Veneziano, in cui i personaggi sono lontanissimi dalle macchiette, sono imprevedibili nella vita, come sul set. "Rivette mi permette di recitare con ciò che accade nell'istante della ripresa", afferma Jeanne Balibar. L'improvvisazione sul set di uno dei padri della Nouvelle Vague è ormai un punto fermo, specchio dell'imprevedibilità nella vita e della fiducia di Rivette nei propri interpreti. Non è un caso che il regista francese abbia ambientato alcuni dei suoi film più impegnativi nell'universo teatrale (L'amour fou, Out): il teatro lascia un ampio spazio al caso, all'istante; non si tratta solo di un istante ricreato, è un istante che sta alla base della creazione filmica, ne diviene il motore. È un tipo di improvvisazione che richiede un'attenzione ostinata ai tempi e ritmi propri, come a quella di tutti gli altri compagni sul set, dagli attori ai tecnici. In questo senso, cogliere l'attimo inaspettato, una battuta, come un sorriso o un gesto, diviene fondamentale. Tutti i filosofi prealpini portano i baffi Le infinite variazioni sul tema dell'amore e in generi dei rapporti umani è il fulcro di Chi lo sa?. La sequenza del duello fra Ugo e Pierre è una delle scene più divertenti e ironiche del film. Due uomini, un regista istintivo e un filosofo razionale, si sfidano a duello bevendo vodka pura e lasciando cadere ogni inibizione verbale. La comicità del duo è surreale e irresistibile, ogni battuta dell'uno richiama e rilancia quella dell'altro, fino ad arrivare a quel "Tutti i filosofi prealpini portano i baffi": la razionalità e la prevedibilità, sembra dire Rivette, arrivano a un punto morto. Per questo il vincitore di questo strano duello non può che essere Ugo, l'istinto. La scena seguente, quella finale, mostra le coppie di partenza tornate a un nuovo equilibrio, pur sempre nel bilico di una danza aperta a imprevisti futuri. Parlando di questo ricorso a continue variazioni, la mente va a particolari forme di composizione: sicuramente al jazz, ma, ancora prima a Bach. Johann Sebastian Bach, sebbene muovendosi all'interno di strutture formali rigidissime, è stato uno dei più ammirati improvvisatori della storia della musica occidentale classica, e, tra l'altro, uno dei compositori più amati dai jazzisti: quasi non si può parlare della forma tema-variazioni omettendo il musicista tedesco. Le invenzioni musicali di Bach presentano un universo di incastri tematici, un gioco continuo di scambi fra voci e strumenti, frutto di una mentalità quasi matematica e di un'improvvisazione pura. L'improvvisazione di Chi lo sa?, all'interno della forma classica della commedia sofisticata, richiama quel particolare tipo di linearità stilistica, in cui tutti i componenti (tutte le voci) vengono chiamati in causa per cogliere quel particolare momento che è l'istante. Un equilibrio costantemente in bilico fra forme rigide e la loro dissoluzione, anzi, il loro superamento. |