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Italia, 2004,
di Giovanni Veronesi, con Silvio Muccino, Violante
Placido, Elio Germano, Giuseppe Sanfelice, Myriam Catania.
Lui, giovane maturando, è completamente innamorato di lei, più
grande, matura e smaliziata: quando lui la riaccompagna a casa, lei
lo saluta in maniera frettolosa e si dirige verso il portone. Parte
la voce off di lui, che la supplica di voltarsi e salutarlo come si
saluterebbero due innamorati. Lei non si volta, entra nel portone di
casa senza fare una piega. Ecco, appunto, pensa lui, e se ne va. Lincipit
di Che ne sarà di noi sembrava far presagire
un film brioso, sopra le righe, divertente. Non è così.
Sulla scia dei buoni sentimenti e dellesistenzialismo da supermercato
di questa sciagurata, superficiale Era Muccino, ecco arrivare
il primo film ideato e realizzato addosso al piu giovane dei due, ladolescenziale
Silvio, co-autore del soggetto. Lidea di partenza, per nulla disprezzabile,
è stata quella di affidare sceneggiatura e regia a Giovanni Veronesi,
cineasta forse troppo legato alla sua fama di scrittore di storie semplici
(vedi sceneggiature per Pieraccioni), ma comunque di sicuro mestiere,
soprattutto quando si tratta di dare forma e struttura narrativa alla
storia. La capacità di Veronesi di costruire i personaggi e tenere
viva la vicenda tiene infatti almeno per un tempo, e durante la fase
di set-up dei tre protagonisti si susseguono situazioni e battute piuttosto
divertenti, soprattutto grazie alla figura di Manuel (Elio Germano),
il personaggio più complesso e meglio tratteggiato. Certo, neppure
nella prima parte mancano momenti e frasi di pura retorica, ma sono
sopportabili, o quantomeno non nuociono più di tanto al film.
Il vero disastro arriva invece quando Che ne sarà di
noi deve chiudere le storie, definire pienamente le psicologie,
determinare le necessarie svolte narrative per arrivare ad una conclusione:
ecco che la sceneggiatura crolla in un susseguirsi praticamente ininterrotto
di luoghi comuni, di ovvietà sentimentali, di stucchevoli frasi
ad effetto. La maggior parte dei personaggi mostra nel secondo tempo
di avere il fiato corto, di non sapere in effetti cosa fare né
dove andare, e soprattutto di non possedere la necessaria profondità
psicologica ed emotiva per coinvolgere lo spettatore (almeno quello
che ha passato la fase di vita descritta dal film). Veronesi tenta invano
di risollevare le sorti del film con una regia il più possibile
equilibrata, accatastando però momenti e scene troppo false
per convincere. Gli attori di certo non aiutano a salvare la pellicola:
se Silvio Muccino ce la mette tutta ma più di tanto non può,
il vero punto dolente è Violante Placido, bambolina di porcellana
tutta moine e sinuosità, ma di scarsa importanza espressiva.
A confronto, le mal delineate altre figure femminili risultano più
accattivanti. Lunico a salvarsi rimane Elio Germano, efficace
nel delineare le sfaccettature maggiormente aggressive ed amare del
più solido dei personaggi in scena: la sua interpretazione istintiva,
sbarazzina e un po sorniona, conferisce a Manuel delle incoerenze
assolutamente veritiere. In mezzo a tanta ovvietà, davvero non
è poco.
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