Casino Royale

La spia che si lascia amare
di Giulio Frafuso

 
  Id., Usa / Germania / Gb / Repubblica Ceca
di Martin Campbell, con Daniel Craig, Eva Green, Mads Mikkelsen, Giancarlo Giannini, Judi Dench


La scena più bella del nuovo 007 non è, come tutti ci saremmo aspettati, la solita e fantasmagorica giostra d’azione ed effetti speciali. E’ invece un duetto che oseremmo scrivere da “sophisticated comedy” tra Bond e la banchiera Vesper Lynd; nella loro camera d’albergo i due si stanno preparando per la serata di gala al casinò: lei, bellissima ed indifesa, si sta truccando di fronte allo specchio; lui arcigno e sornione la osserva. Si scambiano alcune freddure sui rispettivi abiti da sera, e per pochissimi istanti quasi ci sembra di esser catapultati dentro ad un vecchio film con Katharine Hepburn e Cary Grant. Per carità, stabilite le dovute proporzioni!!! Questo vezzoso incipit serve in verità per rivelare che Casino Royale possiede ciò che gli ipertecnologici baracconi di Bond a lui precedenti non avevano neppure di sfuggita: un’anima. Pur considerandolo l’autore più sopravvalutato degli ultimi anni, ci si trova piacevolmente ad ammettere che forse l’intervento sulla sceneggiatura del film operato da Paul Haggis ha apportato una dose di tensione e di profondità dei personaggi inaspettata e coinvolgente. Vista l’overdose di senso e di bassa estetica cinematografica raggiunta dall’agente segreto al vertice del suo successo commerciale - 160 milioni di dollari incassati solo in America dall’ultimo la Morte può attendere - l’unica maniera per cambiare fisionomia e psicologia del personaggio era ripartire da zero. Riappoggiandosi sul primo romanzo scritto da Fleming su James Bond, appunto Casino Royale, si torna in questo modo alle origini di una figura che ancora non è diventata mitica, e quindi possiede la perfettibilità dell’essere umano; sotto questo punto di vista Daniel Craig si dimostra immediatamente una scelta perfetta per impersonare un Bond sanguigno e sanguinario, una pietra rozza ancora non lavorata. Infatti il protagonista non possiede ancora quell’irrazionale onniscienza ed onnipotenza che ne ha contraddistinto purtroppo le ultime avventure: ci troviamo di fronte ad uno 007 che ha appena ottenuto la famigerata doppia sigla con licenza di uccidere, che sottovaluta gli avversari, che sbaglia e reagisce in maniera rabbiosa, violenta. Viene picchiato, torturato, e reagisce cercando prima di tutto la vendetta personale. Una figura tratteggiata a tutto tondo, per quanto possibile in una pellicola destinata comunque ad essere prodotto d’intrattenimento spettacolare. Seguendo le indicazioni anche il regista Martin Campbell lavora sulla materia filmica con una certa intelligenza: per accaparrarsi il pubblico che ha affollato le sale nei precedenti episodi costruisce una prima parte di film testosteronica, fatta di almeno una sequenza di inseguimento ad alto tasso d’adrenalina; azione e lavoro per gli stunt non sono mancati di certo. Dopo la pur divertente sfuriata d’azione però il regista placa notevolmente i toni del racconto, per lasciare maggiormente spazio a relazioni interpersonali, a legami più o meno fittizi tra le maschere in scena. Ed ecco che il volto più umano di Bond inizia pian piano a far capolino dietro lo sguardo di ghiaccio di Craig; il rapporto amore/conflitto con bella Eva Green, come accennato all’inizio, funziona a dovere soprattutto quando deve accennare al fatto che la spia prova dei sentimenti, tra loro anche contraddittori. Con Casino Royale finalmente si torna sui binari più consoni ad una figura che non ha poteri sovrumani o un’oscura ed affascinante tuta da pipistrello. Azione e spettacolo tornano ad essere parte integrante e dinamica del racconto, non ragione prima dell’operazione: se questa è la via del nuovo James Bond - almeno finché l’umanità non ricomincerà ad incontrare quel processo di stilizzazione verso l’assurdo che sembra essere propria di troppi miti cinematografici - possiamo aspettarci buon cinema anche nei prossimi appuntamenti.