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Pietro Paladini, dopo aver perso
la moglie mentre al mare era intento a salvare la vita di una sconosciuta,
è costretto ad affrontare i compiti che un papà solitamente
delega alla mamma, come fare la coda alla figlia o prepararle lo zaino;
cerca, in Claudia, un appiglio, una soluzione al caos calmo che gli
si agita dentro: come lei vuole necessariamente finire un puzzle, così
anche lui cerca di rimettere a posto i pezzi di una vita, la sua. Riuscita
in maniera eccellente è la scena in cui accompagna la figlia
a scuola: è circondato da altri genitori, supportato da musiche
sapienti e consolato da tutti, eppure alla fine si ritrova solo, su
una panchina, a pensare. Lo spettatore, come la stessa Claudia, non
crede che stia parlando seriamente quando comunica alla figlia, prima
che entri in classe: Io resto qui, non me ne vado.
Forse vuole, in qualche modo, dare una risposta, seppure postuma, alle
parole che gli aveva rivolto lei al momento della perdita della madre:
Tu dov eri?. Pietro decide di non allontanarsi
più: novello Forrest Gump trasferisce tutto il suo mondo, lavorativo,
affettivo e familiare, su una panchina. A chi prova a contestare la
sua scelta, risponde: Non sto seduto qui tutto il giorno,
mi muovo
e con una mano indica i posti che lo vedono
transitare: oltre la panchina, nel giardino cè il chiosco
e la macchina. La scelta della panchina è frutto di un adattamento
registico del romanzo di Veronesi da cui è tratto il film: nel
libro, infatti, il protagonista sta sempre in automobile, ma sullo schermo
questo avrebbe ostacolato i movimenti di macchina e quindi gli intenti
espressivi del regista, che attribuisce ad ogni dialogo uno stile di
ripresa diverso.
Il giardinetto di fronte la scuola di Claudia diventa allora il suo
piccolo mondo, è tutto quello di cui il protagonista ha bisogno:
chi lo vuole cercare per questioni private, per consolarlo o per problemi
di lavoro, sa dove poterlo trovare. La panchina diventa un luogo di
scambio, di incontro, di supporto e di abbracci (in questo senso, Kasia
Smutniak - sapremo alla fine che si chiama Jolanda - rappresenta uno
sguardo oggettivo: assiste e memorizza tutti gli incontri da spettatrice
esterna), un luogo dove interagire con persone conosciute o meno. E
poiché la vita è come una scatola di cioccolatini e non
sai mai quello che ti capita, grazie al mito fantomatico
- come lo chiama Claudia - del fratello/zio (un Alessandro Gassman brillante
e divertente che ben spalleggia Nanni Moretti), Pietro conoscerà
la donna a cui ha salvato la vita. Come in un gioco delle parti, sarà
lei stessa a restituirgli il favore.
Il film, diretto da un regista - Antonello Grimaldi - più conosciuto
per i suoi lavori televisivi, affronta con sapienza tematiche delicate
che, a ben pensarci, sono comuni nella vita di tutti i giorni: il rapporto
padre-figlia, la reazione ad un lutto, la ricerca di un sentimento,
di un ricordo. Il caos calmo è ben rappresentato dall affollarsi
di pensieri che occupano indebitamente la mente del protagonista, che
si trova così costretto a stilare fastidiosi elenchi di aerei
presi e case cambiate per poi finire, sotto l incessante sprono
della poco sana cognata, a passare in rassegna le cose che non sapeva
della moglie, ciò che non è mai riuscito a guardare e
i posti dove non sarebbe più ritornato. Tra questi figura la
casa al mare, ma invece è proprio lì che, insieme ad Isabella
Ferrari, Pietro ricomincerà a vivere tramite lormai più
che chiacchierata scena di sesso. Al di là di quelli che possono
essere facili moralismi, è indubbio che si tratta di un episodio
che, per quanto importante ai fini narrativi - il già citato
ritorno alla vita- poteva essere ridimensionato: come si è giocato
sul non detto (nel film, cioè, non si arriva all episodio
dopo una lunga frequentazione come nel libro, ma i due sono per lo più
sconosciuti che abitano vicino e che forse si sono scambiati un messaggio),
così poteva avvenire per latto stesso. Sono solo pochi
minuti, comunque troppi per quello che riguarda un film di questo (e
non quindi di altro) genere, che ne abbassano decisamente
il livello. Se a ciò poi si aggiunge una bestemmia (presente
già nel libro e quindi sempre diegeticamente motivata!)
bisogna mettere sul piatto della bilancia due fattori: pesa di più
un film che è ben fatto, interessante, coinvolgente, drammatico
e allo stesso tempo ironico, oppure due scene che offendono il pubblico
abbassandone il valore artistico?
Agli spettatori lardua sentenza.
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