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Breakfast on Pluto
id., Irlanda/Gran Bretagna 2005
di Neil Jordan, con Cillian Murphy, Liam Neeson, Stephen Rea, Brendan Gleeson, Gavin Friday

Il travestito da un altro pianeta
recensione di Maurizio Di Lucchio



Alcune volte è insopportabile vedere dei film in fotocopia, specie se sono fatti dallo stesso autore. Breakfast on Pluto non è uno di questi, anche se a prima vista potrebbe sembrare un puro “refresh” de la Moglie del soldato. Stessi ingredienti, stessi personaggi: un’Irlanda devastata dalla guerra civile e dal terrorismo, un travestito in grado di sconvolgere la vita di chi lo incontra, alcune brevi torbide storie d’amore e un fascio di luce sulle vistose contraddizioni di un paese in continua crisi di identità. Una lettura superficiale di questo tipo, peraltro, deve essere giunta anche alle orecchie delle case di distribuzione di mezzo mondo visto che, se questo film è ora nelle sale, lo è solo grazie al coraggio di qualche distributore indipendente (in questo caso, lode e gloria a Domenico Procacci e alla sua Fandango).
Al di là delle pessime premesse, infatti, Breakfast on Pluto è un’opera magistrale che riafferma le capacità di Neil Jordan, appannate sin dai tempi del bellissimo Michael Collins, e restituisce al cinema di questo periodo storico una grazia della rappresentazione e dei contenuti che latitava da un bel pò, soprattutto nel cinema europeo che della leggerezza ci ha sempre fatto una delle proprie cifre di stile.
Breakfast on Pluto ha il passo della letteratura di formazione dell’Ottocento, solo con toni più agili e freschi. La suddivisione in piccoli capitoli dà un ritmo quasi magico alla storia, una di quelle pensate e realizzate per il puro piacere di raccontarle, perché probabilmente il mondo, di grandi e piccole narrazioni, ne ha bisogno più di quanto si pensi.
Osservare passo dopo passo la vita di questo giovane irlandese che sviluppa sin da piccolo le sue tendenze omosessuali e prova a vivere la sua diversità con fierezza trasmigrando da un posto all’altro non fa riflettere su nient’altro che sulla possibilità concreta di essere liberi anche in mezzo al marcio, di essere “insostenibilmente” leggeri anche quando fuori imperversano guerre e moralismi ipocriti.
“Kitten”, il protagonista, è un “figlio della colpa” nato dalla violenza sessuale perpetrata da un sacerdote cattolico ai danni della sua domestica e abbandonato davanti alla casa di una bigotta famiglia irlandese degli anni ’60. Eppure Kitten (un immenso Cillian Murphy) non ce l’ha con nessuno, non vuole punire nessuno: va soltanto in cerca della madre che non ha mai conosciuto e di un luogo più libero e libertario in cui un travestito possa esprimersi senza problemi, facendo la cantante, la prostituta o la ballerina dei peep-show della Londra degli anni ‘70. E’ un personaggio inedito, quasi messianico, è inondato da una gioia di vivere “che non è di questa terra” e sembra davvero appartenere a un altro pianeta (il “Plutone” che campeggia nel titolo).
Per riconoscere il Neil Jordan classico, invece, bisogna spostarsi sugli altri personaggi, i quali continuano a sembrare i perfetti prodotti delle lacerazioni del tessuto sociale irlandese della seconda metà del ventesimo secolo. Con questo lavoro, il regista irlandese rinnova infatti quella capacità di raccontare la sfera privata attraverso quella pubblica (e viceversa) che si era espressa perfettamente proprio ne la Moglie del soldato. Il prete tormentato dall’adulterio, la donna violentata che si rifugia nell’immensità di Londra per sfuggire alla condanna sociale di un paesino irlandese, il giovane nazionalista monarchico tentato dalle rivendicazioni repubblicane e il prestigiatore che sfrutta la tragedia di Kitten per racimolare un pò di soldi. Sono tutte figure figlie del progressivo collasso della tenuta sociale dell’Irlanda e, più in generale, dei conflitti della nostra epoca.
La grandiosità di questo personaggio, Patrick “Kitten” Braden, (e contemporaneamente di Breakfast on Pluto) risiede proprio nel fatto che esso è un ibrido che incarna quasi per volontà divina il meglio delle due fazioni in lotta (e non si tratta soltanto di cattolici vs. protestanti) e carica su di sè le contraddizioni di entrambi trasformandole in leggiadrìa. L’insistere, infatti, del personaggio sull’inutilità delle “cose serie” e sulla bruttezza (anche estetica) della guerra arriva persino a commuovere.
E’ difficile stabilire con precisione da dove nasca l’esigenza di raccontare un personaggio così “perfetto” all’interno di un mondo così cannibale. Sta di fatto che alcune trovate presenti nel film, come i pettirossi che fanno da “coro greco” discettando sull’evolversi della storia e le sequenze in cui vengono mostrate scene solo immaginate dal protagonista, suggeriscono la voglia, da parte del regista, di dare forma una volta per tutte ad un immaginario utopico di pace e di serenità vagheggiato forse per troppo tempo in mezzo alle bombe e ai conflitti. E finchè il cinema tenta di materializzare tramite storie e immagini le speranze e i sogni di chicchessia, non è altro che ottimo cinema.