|
the Alamo,
Usa, 2004
di John Lee Hancock, con Dennis Quaid, Billy Bob Thornton,
Jason Patric, Patrick Wilson, Emilio Echevarría
Alamo narra della disfatta che, insieme a Pearl Harbour,
ha segnato di più lo spirito della nazione americana. E proprio
come nel Pearl Harbour di Michael Bay, Alamo
non riesce a limitarsi al racconto di una sanguinosa battaglia persa
e degli uomini che l'hanno sostenuta. Deve caricare la narrazione della
riscossa successiva, fedele, in questo caso, al movimento storico ma
decisamente meno interessante rispetto a quello narrativo.
Alamo rappresenta una frontiera che non vuol essere
tanto l'esplosione dello sfruttamento, della corsa verso la ricchezza
e la fama della west coast, quanto la creazione, per necessità,
di una nazione. Il Texas incarna la possibilità di un'indipendenza
proclamata come democratica, ma in realtà realizzata a spese
di un'altra nazione, il Messico. Il patriottismo e il nazionalismo,
che in Alamo sono, almeno ad un occhio non americano,
il punto più irritante del racconto, non riescono però
ad inficiare la forza di alcune scelte di messa in scena.
La prima, obbligata, è l'unità di luogo della storia.
Il forte di Alamo sotto assedio è raccontato con tutta l'efficacia
del classico "siege movie" ad alto budget, punteggiato da
spettacolari ma ponderate invenzioni visive (come la soggettiva della
palla di cannone), dettagli attenti ad ogni personaggio e buona tensione
distribuita fra momenti di attesa, attacco e reazione.
La seconda scelta è tutta legata al carisma di un attore: Billy
Bob Thornton, che tratteggia un Davy Crockett sfaccettato e ricco. Con
pochi sguardi, una postura controllata e una presenza scenica assoluta,
Thornton crea un personaggio che veste con naturalezza i panni del mito
cucitogli addosso dalla stampa e, insieme, è un vero, tormentato
e intenso uomo del west. Tanto che l'immagine del violino che Crockett
suona dalle mura del forte, si trasfigura - durante l'ulitmo attacco
ad Alamo - nell'unica vera immagine poetica che inquadra (anche se,
forse, non con la piena volontà dei realizzatori in questo senso)
l'insensatezza e la crudezza della guerra.
La terza scelta è la descrizione dell'esercito messicano e del
suo generale Antonio Lopez de Santa Ana (Emilio Echevarría).
Un gruppo di soldati guidati da uno stratega narcisista e spietato,
abile e presuntuoso, terribile e ridicolo, che si scagliano contro gli
americani di Alamo con la freddezza del calcolo strategico e la pura
violenza del numero. Una visione molto divertente ed efficace nella
sua linearità quasi ingenua, nel suo essere un cliché
dai contorni fumettistici.
Si perdonano così ad Alamo tutte le incertezze,
ingenuità, lungaggini e fuochi patriottici che ne fanno un prodotto
non del tutto riuscito. Si perdona l'obiettivo potenziale che Alamo
in gran parte manca: la possibilità di orchestrare un'elegia
di guerra dolente e realistica come il volto di Thornton. Un'elegia
definitiva e terribile come il racconto di cannibalismo di cui Davy
Crockett è protagonista, e che viene da lui rievocato per i compagni
di assedio, stretti intorno al fuoco. In attesa che l'esercito messicano
si prenda le loro vite con la stessa violenza con cui gli uomini del
west avevano sterminato gli indiani d'America.
|