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Parlando di un tuo personaggio, hai detto: "Ci sono sempre
io - in qualche maniera - nelle donne che porto sullo schermo. Io sono
come un disegnatore che facendo uno schizzo, accentua alcuni tratti
rispetto ad altri." Mi puoi spigare come costruisci i personaggi
che interpreti e che tipo di tecnica usi?
Ho imparato dalle mie esperienze che almeno per me non esiste una
tecnica. In pratica non si impara mai: non è che dopo un po'
di anni si sa fare qualcosa. Quello che mi sembra importante è
adattarmi ogni volta al regista con il quale lavoro, seguire il suo
modo di lavorare e portare il mio, per poi capire cosa può funzionare
nella collaborazione. Da questa combinazione ogni volta nasce un nuovo
metodo. Ho capito inoltre che è molto importante ammettere quello
che si sta vivendo, se non si sa come andare avanti, se ci si sente
nei pasticci, se ci si sente arrabbiati. Riconoscere se stessi, riconoscere
i propri limiti e problemi porta inequivocabilmente ad una loro soluzione.
Quanto di te c'è quindi nei personaggi che interpreti?
Tutto, a parte che non ho vissuto quella storia. Non vedo cosa posso
mettere d'altro, oltre me stessa, nel personaggio che interpreto. E'
come se mi chiedessero se quello sullo schermo era il mio braccio o
la mia mano: non ho altre braccia, altre mani o altre emozioni che le
mie.
Cosa ti influenza nella scelta di un ruolo o di un film?
Il regista. Ho avuto la fortuna di incontrare persone con grande talento
e questa è la cosa che mi eccita di più: l'intelligenza,
il talento, il modo profondo di lavorare. Dopo c'è la sceneggiatura
e il personaggio.
Nella tua carriera ti è capitato spesso di istaurare
con i registi dei rapporti di lavoro che continuano nel tempo, per diversi
film.
È molto prezioso per me potere instaurare un rapporto di lavoro
che continua negli anni, perché con un regista c'è sempre
qualcosa di nuovo, che si approfondisce di volta in volta. E' un lavoro
che diventa importante nel tempo, il work in progress di una poetica.
Non succede sempre, però quando è possibile è un
po' la realizzazione di un mio sogno. Ho avuto la fortuna di lavorare
con persone molto importanti per me, come Mimmo Calopresti o Noémie
Lvovsky, e spero di potere continuare questo rapporto.
Hai spesso privilegiato registi alle prime esperienze ed hai
investito in opere prime senza avere la sicurezza di grandi nomi.
Sì: ci può essere un incontro eccitante anche su un primo
film. Mi ricordo l'incontro con Mimmo per La seconda volta: tutto
quello che mi raccontava sul film, quello che voleva fare, era completamente
nuovo. Io non avevo mai visto i suoi corti ed avevo solo letto la sua
sceneggiatura, che mi era piaciuta, ma non è stato quello ad
avermi convinto: il suo modo di parlare del film, il suo modo di aver
voglia di fare cinema hanno condizionato la mia scelta.
Hai appena finito di girare il nuovo film di Mimmo Calopresti...
Sì, ho una piccola parte. Il film si chiama La felicità
non costa niente, sempre geniale per i titoli... Nel film lui è
protagonista al fianco di Francesca Neri. Io sono la moglie di Vincent
Perez, una donna che scopre di essere in crisi non credendo di esserlo.
Come quelle persone che pensano di poter dare lezioni agli altri, e
poi scoprono che la loro vita non è così solida come credevano.
E' una donna che consapevolmente decide di essere superficiale, fino
a che la vita la obbliga a scontrasi con la realtà ed a guardare
il cuore delle cose.
Esce in questi giorni al Cinema Voci, un film di Franco
Giraldi tratto da un libro di Dacia Maraini. Come mai hai deciso di
interpretare questo ruolo?
Non avevo mai letto prima un libro di Dacia Maraini. Mi è piaciuta
molto la scrittura, ed ho incontrato un personaggio, Michela, che mi
ha subito commosso. Un personaggio che esiste, come qualcuno che si
incontra e che è reale, con tutti i suoi misteri, la sua solitudine
i suoi conflitti. Poi questo personaggio è fluito nella sceneggiatura
in modo naturale, molto fedele all'intimità del libro, anche
se alcune cose sono cambiate. E' un personaggio che non ha avuto bisogno
di essere ricostruito, ma solo interpretato.
Stai per debuttare alla regia con un tuo film, ci puoi accennare
qualcosa?
Poco, perché sono in un periodo di preparazione e non vorrei
vendere la pelle prima dell'orso. È un film che ho scritto con
Agnes De Sacy e in cui reciterà anche Mimmo Calopresti. Il titolo
per ora è Nel regno dei cieli ed è prodotto da
Paulo Branco, soprannominato "l'autoambulanza del cinema francese".
È un film intimista, che parla di una famiglia nei giorni che
precedono la morte del padre.
Come è nata l'idea del film e come mai hai deciso di
cimentarti nella regia?
Avevo partecipato un po' alla sceneggiatura de La parola amore esiste,
insieme a Mimmo, e avevo in parte aiutato alla stesura di qualche dialogo.
Lì mi è venuta voglia di scrivere: all'inizio erano degli
appunti e poi piano piano sono diventati una storia. Poi i personaggi
si sono delineati ed è nata una sceneggiatura, poi la sceneggiatura
bisogna pur farla, poi non potevo scriverla che io, perché ero
io che la conoscevo meglio, e poi non sono riuscita ad immaginare qualcun
altro che la recitasse... Per cui alla fine faccio tutto io!
Cosa ti aspetti dal lavoro di regia e dalla macchina da presa,
un mezzo espressivo così diverso da quello della recitazione?
Non è che mi invento regista così: semplicemente immagino
questo film come un film d'attore. Faccio il film con la mia esperienza
di attrice e farò sì che succedano delle cose fra i personaggi
prima di pensare a dei movimenti di macchina o a dei virtuosismi: la
recitazione sarà l'estetica di quest'opera. Ad ogni modo mi sono
circondata di molti tecnici e professionisti del cinema che stimo, persone
che mi aiutino e guidino nell'impresa. Ma nel film cercherò solo
di raccontare delle situazioni fra i personaggi nel modo più
semplice possibile.
Sono in uscita altri film che ti vedono impegnata come attrice?
Ho finito a dicembre un cortometraggio girato da Bernardo Bertolucci
che fa parte di un progetto più ampio, cui partecipano diversi
registi, ognuno con un corto della durata di 10 minuti. Il titolo di
ogni corto sarà Ten Minutes Older, "dieci minuti
più vecchio". E' stata un'esperienza molto formativa. Sto
anche girando una commedia in Francia, si chiama Ah, si j'étais
riche!, opera prima di Michel Munz. Interpreto un personaggio che
cerca di essere felice, non nevrotico, ma con le sue follie.
Come ti trovi a recitare in un ruolo comico, lontano dalla ricerca
su personaggi difficili e intensi che contraddistinguono la tua carriera?
Non penso esistano persone senza contraddizioni, senza dolore, anche
in una commedia - forse ancora di più in una commedia. E' il
dolore che da il conflitto, l'insoddisfazione. E' l'inadeguatezza delle
persone che le rende comiche: un personaggio inadeguato fa ridere gli
altri ma per se stesso è amaro, è penoso. La superficialità
non è solo il vuoto o la mancanza di approfondimento, ma la scelta
consapevole di non lasciarsi suggestionare dalla vita, una scelta che
in alcuni casi, soprattutto quando significa rinunciare al dolore e
alla sofferenza, mi commuove. |