interista a Ridley Scott

La Storia e la Tolleranza
a cura della Redazione

 
 
Da Il gladiatore in poi si è assistito ad una sorta di “rinascita” estetica del suo cinema: la resa visiva dei suoi ultimi film è tornata ad essere portentosa.
Il segreto consiste nel tentare di acquisire sempre qualcosa di nuovo in ogni esperienza, e metterci costantemente tutto l’entusiasmo possibile: quello degli inizi, tanto per capirci. Se non facessi in questo modo, probabilmente sentirei di dover smettere col cinema. Per questo motivo anche Le crociate ha rappresentato per me un’opportunità di sperimentare a livello estetico. Una delle costanti dei miei ultimi film, soprattutto quelli girati in Marocco, è quella di voler assolutamente sfruttare tutti gli elementi naturali che intervengono sul set. Sotto questo punto di vita i set marocchini, anche ne Il gladiatore, sono stati favolosi: le condizioni atmosferiche sono state una continua sorpresa, che ho cercato di sfruttare nel modo giusto. Credo che elementi come il vento soprattutto abbiano saputo aggiungere una sorta di “realismo fascinoso” a quello che ho girato.
Ma anche la luminosità abbagliante del sole è stata una risorsa da cui attingere. Non credo però che gli attori abbiano poi amato troppo questo mia predilezione per il vento: il mistral del deserto doveva finire appena all’inizio delle riprese, ed invece li ha torturati per mesi sul set.

Anche nell’utilizzo degli effetti speciali, Le crociate sembra rappresentare un grosso passo avanti, soprattutto nell’utilizzo della moltiplicazione delle folle.
Lo credo anch’io, abbiamo fatto davvero un ottimo lavoro! Alla fine abbiamo scoperto di aver adoperato circa 800 inquadrature con effetti speciali: il fatto che per la maggior parte non ci si accorga di questo significa che funzionano sul serio. Sul set ho avuto a disposizione 650 persone e 150 cavalli, che in ogni caso non sono pochi. Il resto è stato tutto ricreato al computer!

Sembra che dopo un primo montaggio del film la sua durata si aggirasse sulle quattro ore. Come si è arrivati alle due ore e mezzo della versione definitiva?
La notizia non è del tutto precisa. Al primo montaggio la durata era effettivamente più vicina alle tre ore, ma non alle quattro. Un prodotto del genere ha delle esigenze narrative e soprattutto commerciali che non possono essere trascurate. Io poi col tempo, nel corso della mia carriera, ho imparato che in edizione un regista deve essere assolutamente intransigente con se stesso, deve lavorare come un critico feroce della propria opera. Magari una versione da 3 ore e più sarà distribuita in DVD.

E’ vero che il suo prossimo progetto è un film sul vino, sull’onda del successo di Sideways?
Penso proprio che sì, lo girerò. Certo, Sideways è un buon film, l’ho abbastanza apprezzato. Non credo però che il mio progetto si possa accostare ad esso. Si tratta di una commedia che parla di vino, ma in realtà tratta fondamentalmente di xenofobia. Io sono inglese, ne so qualcosa.

E’ possibile trovare nella storia de Le crociate dei riferimenti agli avvenimenti di oggi?
La storia de Le crociate racconta gli avvenimenti accaduti tra la fine della seconda crociata e l’inizio della terza; la sceneggiatura di William Monahan è stata molto rigorosa sotto il profilo della storicità degli eventi. Se si desidera trovarli a tutti i costi, forse nella pellicola si possono rintracciare alcuni risvolti simili alla situazione odierna, qualche parallelismo. Tuttavia è una cosa che volontariamente preferisco non fare, quella di costruire dei riferimenti espliciti: sono convinto che dovremmo essere molto meno ancorati al nostro passato e maggiormente proiettati verso il futuro. Tanto dalla storia non riusciamo mai ad imparare! Il messaggio principale del mio film è che bisogna trovare in se stessi quei valori che troppo spesso si cercano al di fuori; il personaggio che meglio esplicita questa filosofia a Balian, il protagonista, è l’ospedaliere interpretato da David Thewlis, che gli dice che alla base di ogni religione c’è l’essere o meno un brav’uomo. Partendo da questo, penso si possa praticare il proprio credo anche nel rispetto di quello altrui.

Quindi il suo film parla di tolleranza?
Preferisco non usare questo termine con leggerezza: si tratta di qualcosa di più sfaccettato. Penso che principalmente il mio film parli della ricerca di valori: il bisogno di credere ed il rispetto delle convinzioni del prossimo sono comunque certamente idee espresse nel film.

Cosa pensa della retorica adoperata per descrivere le crociate? A me il suo film è sembrato piuttosto “politically correct” nel descrivere la pacifica convivenza dentro le mura della Gerusalemme di quel periodo.

Per quanto riguarda la retorica nella raffigurazione delle crociate, suppongo che lei abbia ragione: si è sempre adoperato un certo idealismo nelle testimonianze storiche su questo argomento. Io per documentarmi ho consultato l’opera di Gustave Doré: due favolosi libri di illustrazioni in cui è certo ritrovabile una decisa misticizzazione delle crociate. Vi si trova una rappresentazione molto romanticizzata delle atrocità commesse sia da cristiani che da musulmani, e non soltanto in questo lavoro. Bisogna poi ricordarsi che nel XX secolo è tornato il dibattito sull’importanza delle crociate, quando in precedenza erano state quasi del tutto dimenticate. Anche il termine steso di “crociata” ha subito una forte connotazione politica che prima non possedeva. Sono comunque sicuro del lavoro di ricerca storica compiuto da Monahan: garantisce al film una decisa veridicità.