dichiarazioni di François Ozon
a proposito di Gocce d’acqua...
a cura della Redazione

 
 
Coppie ed esistenze marginali
Era tanto tempo che volevo fare un film su una coppia. Un film che parlasse delle difficoltà della convivenza e della routine quotidiana. Quando ho scoperto l’opera di Fassbinder, ho capito subito che non avrei dovuto scrivere una sceneggiatura originale perché esisteva già un testo che parlava esattamente di quello che mi sentivo di raccontare. La coppia di Gocce d’acqua su pietre roventi è formata da due uomini, ma l’omosessualità non è uno dei temi centrali del film. Proprio come nel film di Fassbinder del 1974, Il diritto del più forte, dove il personaggio di Eugen porta il suo amico a cena dai suoi genitori, la questione non viene trattata in maniera approfondita. La potenza di Fassbinder sta nello scaraventare lo spettatore nella vita quotidiana di una coppia particolare e così facendo riuscire a regalarci un’immagine universale delle coppie in genere. Fassbinder ha detto spesso che non esistono vite marginali, ripetendo che più una persona vive al di fuori delle convenzioni sociali, più quella persona si è adattata alle immagini dominanti delle relazioni interpersonali. Mi è sempre piaciuta molto la maniera meccanica e altamente efficiente in cui, ne Il diritto del più forte, Fassbinder ci mostrava che non smettiamo mai di mettere in atto gli stessi meccanismi.

Gli anni settanta
Un simile rifiuto dell’idea di esistenze marginali poteva essere espresso soltanto da un uomo degli anni ’70, particolarmente interessato alle ambiguità della rivoluzione sessuale. È per questo che sono voluto restare fedele a quell’epoca di cui Fassbinder era una parte essenziale. Ho cercato di evitare di realizzare una sorta di ritratto caricaturale dell’epoca, diluendo tutto il folklore e i cliché applicabili agli anni ’70, oltre al fatto che quegli anni in Germania non sono stati un periodo così stravagante come in Francia. I tedeschi cominciavano a riemergere dal lungo periodo di ricostruzione post-bellica ed erano ancora oberati dal senso di colpa legato al passato. Questo si vede e si sente nelle scenografie. I colori non sono brillanti ma smorti e meno allegri: finti muri in mattoni, tinte bianche e nere, colori che Fassbinder stesso usava nei suoi film.

Modelli
Per scrivere questo adattamento ho preso come modello Le lacrime amare di Petra von Kant (inquadrature frontali, ambientazione unica, girato tutto in studio, assenza di esterni) e Smoking, No Smoking, nel quale Alain Resnais fa reagire l’essenza teatrale del testo e le ambientazioni con la recitazione o gli espedienti della lingua.

Le cose banali
Come per Aldrich, anche per Fassbinder le cose banali servono a mostrare il vero volto dei personaggi e a renderli più commoventi. Le liti sui problemi quotidiani e i dettagli quasi sempre insignificanti provocano una scomoda sensazione di complicità nello spettatore che lo rende più vicino al personaggio. Mi è sembrato importante dare maggiore rilievo a queste “piccole cose”: al tempo stesso, la rapidità di questa prossimità emerge istantaneamente su cose al tempo stesso buffe e terrificanti. Quando ho visto l’opera di Fassbinder in scena a Parigi (in un allestimento in lingua francese di qualche anno fa), ho notato con sorpresa che ero quasi l’unica persona a ridere, come capita spesso anche con i suoi film. Si ha sempre la tendenza a prendere troppo sul serio e a volte anche in maniera drammatica il lavoro di Fassbinder, poiché si tratta di opere profondamente pessimiste. A me sembra, comunque, che siano proprio gli aspetti più oscuri a liberare vitalità, forza e una certa distanza che evoca la risata. Per questo motivo ho voluto fare affidamento su alcune situazioni comiche, nella fattispecie l’innata crudeltà di Leopold nei confronti di Franz e Vera e anche la scena del ballo, visto come mezzo di liberazione attraverso il quale i personaggi abbandonano bruscamente il dialogo e lasciano che siano i loro corpi ad esprimersi in maniera grottesca e commovente.

Finestre
Una procedura che Fassbinder adottava sistematicamente era restringere il campo visivo imponendo dei limiti, che potevano essere costituiti da muri, porte, cornici di finestre e piante, che creavano un nuovo set e imprigionavano ancora di più i personaggi. Le inquadrature di questo genere sono implacabili. A volte, quando si riprendono gli attori da dietro le finestre, si ha l’impressione di osservare dei pesci in un acquario. Per l’ultima scena del film avevo pensato ad un finale più ottimista. Dopo la scena in cui Vera accenna la mossa di prendere il cappotto ma poi lo lascia sul corpo di Franz, avevo pensato che, se in quel momento lei avesse abbandonato il cappotto, in un certo senso si sarebbe liberata e una parte di lei sarebbe morta con Franz. Allora avevo deciso che avrebbe aperto la finestra, per far uscire dalla stanza l’odore della morte facendo anche sentire i rumori del mondo esterno. Ma lo scenografo mi ha detto che per problemi di budget non era stata prevista una finestra che potesse essere aperta. Poi, durante il montaggio della nuova finestra, ho pensato all’altra soluzione, vale a dire che Vera restasse chiusa dentro la stanza, incapace di aprire la finestra: una prigioniera, come gran parte degli eroi di Fassbinder. Ho girato entrambi i finali e poi ho optato per quello più oscuro.

Gli infelici
Franz e Leopold sono entrambi infelici. Franz perde la propria identità nel desiderio di Leopold, mentre il suo pigmalione continua a mettere in atto le stesse procedure. Ammette di stancarsi velocemente, di perdere il gusto per le cose dopo l’esaltazione della novità. Dopo aver imposto, una volta ancora, la sua forza e il suo dominio, si annoia e trova piacere solo nella routine quotidiana. Ma la realtà non mantiene le sue promesse. Come diceve spesso Fassbinder: “L’amore non esiste. Esiste solo la possibilità dell’amore”. Il caso di questa coppia è quasi unico nell’opera di Fassbinder, dove in genere il dominatore è l’intellettuale, come accade ne Il diritto del più forte. Qui invece abbiamo Franz, che è uno studente e che ama la poesia, la lettura e il teatro: intellettualmente, potrebbe guardare dall’alto in basso il banale agente assicurativo Leopold, ma il desiderio d’amore lo spinge ad abbassarsi al suo livello e a finirne preda. È incredibile come a soli 19 anni Fassbinder sia stato capace di descrivere in maniera così precisa e con una tale maturità questo volontario degrado, questa discesa verso gli aspetti più ordinari, che è al tempo stesso vitale e suicida.

Vera
Non ho seguito alla lettera il testo di Fassbinder. Ho cambiato qualche dialogo, alcune situazioni, l’età di Leopold e la parte che precede la fine, soprattutto il personaggio di Vera, che non aveva alcuna utilità drammatica ed era una specie di soprammobile: Gocce d’acqua su pietre roventi è un’opera adolescenziale che Fassbinder non ha mai allestito e che praticamente ha lasciato incompleta. Io ho tentato di arricchirla usando gli stessi elementi che in seguito sarebbero emersi nei suoi lavori futuri. Così ho usato la storia che ha ispirato a Fassbinder Un anno con 13 lune, facendo di Vera una transessuale e affrontando così anche la questione dell’identità che fa da specchio al problema di Franz. Per Franz, Vera è ciò che sarebbe diventato sotto l’influenza di Leopold.
Finire il film con Vera mi è sembrata una scelta naturale perché mi piace particolarmente l’autorità con la quale Fassbinder realizzava i suoi film mettendosi sempre dalla parte delle vittime. Nel girare l’ultima scena, però, ero un po’ preoccupato per gli effetti della carrellata all’indietro: temevo che venisse interpretata come una presa di distanza, un allontanamento, mentre volevo l’esatto contrario, in quanto Vera finisce col diventare il personaggio che mi ha emozionato di più. Non volevo che la abbandonassimo e dimenticassimo la sua storia. Per fortuna, durante il montaggio ho scoperto la canzone di François Hardy, “Traum”. Miracolosamente, quella canzone mi ha permesso di girare l’ultima scena nella maniera esatta in cui l’avevo immaginata, creando una doppia sensazione di presa di distanza estatica e di prossimità emotiva.

(per gentile concessione della Keyfilms