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L'occhio e il mosaico Nelle sue più recenti esperienze registiche, Michael Mann ha dato abbondantemente prova della sua ampiezza e minuziosità narrativa, portando a maturazione una ricerca stilistica improntata all'osservazione "totale". Una ricerca che però si attua e si manifesta (proprio come in un mosaico) attraverso parziali e ripetute selezioni della messa in scena che scartano e prediligono per poi ripartire nella scelta e riassorbire una forma, una luce, un contesto, una situazione o un personaggio diametralmente opposto al precedente, servendosi di infiniti fuochi selettivi e disinvolti aggiustamenti di macchina. Raramente come nel caso di questo cineasta, infatti, la mdp diviene vero e proprio "occhio" scrutatore, istanza "guardante" molto più che narrante; una mdp che nella sua fluidità e dinamicità sembra volare sulla scena. Un'estetica, questa, che richiama al reportage documentaristico, ad un'elegante forma di cinéma-vérité. Naturale che questi accostamenti non squalificano il girare di Mann, bensì lo esaltano e lo accreditano sottolineando la complessità e la precisione registica che si cela dietro l'apparente semplicità e la sensazione di disordinata immediatezza di risultati. Un paragone simile, inoltre, evidenzia una conoscenza e un'inclinazione alla sperimentazione del mezzo (sia tecnico che narrativo) non indifferenti (la sequenza nella camera d'albergo con le pareti che si animano in Insider ed i notturni ripresi in digitale di Ali ne sono prova inconfutabile). Sondare il personaggio Questa maturazione estetica trova il suo perfetto dimensionamento in Ali dove, oltremodo, si conferma esclusivo strumento descrittivo per scandagliare un carattere o una storia personale in rapporto al suo contesto. Mann organizza e analizza microcosmi di personaggi e geografie per poter far emergere al meglio il protagonista, guadagnando in oggettività. Di conseguenza, al regista occorre tanto materiale, sia filmico che umano, per ritagliare da questo la "persona" e metterla a fuoco, scontornandola dalla coralità, con un tratteggio che (come meglio conviene a chi pretende una giusta e motivata verosimiglianza) non è mai definitivo, ma sfaccettato e sfuggente. A ben guardare, tutta la filmografia manniana è orientata verso lo studio di un personaggio (combattuto e combattente) legato (intrappolato) ad un sociale complesso e variegato: proprio quel sociale su cui vola l'"occhio"/mdp. Si noti, a maggior dimostrazione, come ogni titolo delle sue opere faccia diretto riferimento al soggetto indagato (se non addirittura coincida con esso): Jericho mile (= il miglio di Jericho), Thief (= ladro), Manhunter (= cacciatore d'uomo), L'ultimo dei moicani, Insider (= colui che è dentro), Ali (l'identificazione massima tra titolo e personaggio: il nome comune diventa nome proprio). Fanno eccezione The Keep e Heat. Ma il principio resta lo stesso: la volontà di voler inscrivere, da subito, nel titolo, una stringata dichiarazione di intenti. Infatti The Keep sta per "fortezza", il luogo dove si concentra l'intera vicenda del lungometraggio, e in Heat l' "occhio" indaga su due personaggi, creando una doppia prospettiva (che pian piano si fa speculare) attraverso la quale filtra il modo in qui questi caratteri interagiscono, quello che condividono, la condizione di sfida e il "clima" che si instaura tra di loro (heat = competizione o caldo, ma anche collera, animosità). Per un pluralismo musicale Nelle scelte musicali adottate nei suoi film, Mann sembra riflettere lo stesso bisogno di pluralità di punti di vista e di quantità del materiale riscontrabili nel suo lavoro visivo. Non è un caso, quindi, che per tutte le sue pellicole (fa eccezione, ancora una volta, Heat: l'eccezione che conferma la regola) il regista abbia richiesto un approccio collettivo, con più compositori impegnati nei vari progetti. Se per i primi due lungometraggi (Thief e The Keep) si è avvalso della collaborazione dei Tangerine Dream (che anche se intesi come unità artistica sono comunque "gruppo") nel successivo Manhunter ha raccolto intorno a se i The Reds con Michael Rubini e per Insider e Ali si è giustamente fidato di Lisa Gerrard e Peter Bourke. A questo proposito L'ultimo dei moicani rappresenta un caso limite: non contento di avere dalla sua lo specialista Trevor Jones (autore del tema portante), Mann ha assoldato, in fase già avanzata di post-produzione, anche Randy Edelman, che ha provveduto ad alcune scene secondarie. Il fatto che i due compositori abbiano lavorato separatamente, senza mai collaborare a quattro mani (senza ,quindi, mai influenzarsi reciprocamente) è l'epitaffio di una volontà e coscienza registica mai accentratrice e unidirezionale, ma costantemente interessata a variegate angolazioni ottiche e sonore. La natura stessa di questi score - salvo particolari e necessarie situazioni narrative - entra poi in perfetta sintonia con il decoupage: la musica "vola" insieme alla mdp, scivolando eterea (poiché spesso priva di una marcata caratterizzazione melodica), dilatata, insistita e insistente tra le pieghe del visivo; la tessitura musicale non adempie mai ad una mera descrizione, semmai ad un puro commento (con un preciso rifiuto dei sincroni espliciti) che galleggia intorno ai personaggi, trasportata e modificata dai loro eventi. Ottimi esempi sono, in Ali, l'intermittente sospensione musicale del primo incontro, sulla quale si innesta l'attacco della batteria in effetto "lontananza" (imprevisto, accattivante, bellissimo) e, più avanti, la corsa in Africa (probabilmente la più bella sequenza del film), dove il campione è accompagnato dai bambini e dagli abitanti locali che lo sorreggono e lo incitano, con il canto maschile extra-diegetico che man mano si gonfia e si sovrappone alle voci della popolazione, "sorreggendo" a sua volta il pugile. "Vola come una farfalla, punge come un ape" Quest'ultimo segmento in Ali insieme a molti altri, come l'impagabile epilogo di Thief, disegnato dal dolly a salire lungo l'albero, mentre Frank (Caan) si allontana in campo lungo e la musica dei Tangerine Dream esplode, o il finale di Heat all'aeroporto, con il decisivo confronto tra i due protagonisti nell'alternarsi di luci ed ombre, stordiscono per la bellezza narrativa, che racchiude in sé la dilatazione, la poetica e la magnificenza di tutto il cinema di Mann. Sono questi i momenti chiave, dove il cineasta tira le fila del discorso, conferendogli un ordine che ha l'effetto di un'epifania: la coscienza improvvisa del senso più profondo dell'opera istantaneamente si accende nel fruitore, che si ritrova estasiato nell'osservare il mosaico ormai completato. L' "occhio" smette di volare e "punge come un'ape". Link interni Collateral Recensioni |