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Nella storia della “Nuova Hollywood” il cineasta che ha maggiormente rappresentato le contraddizioni interne al sistema, forse anche più del genio anarchico di Francis Ford Coppola, è stato senza dubbio Michael Cimino con il suo cinema fatto di una profonda scissione tra esigenze spettacolari ed un’esigenza poetica del tutto personale. Quasi mai il cineasta è riuscito a fondere con equilibrio le due anime del suo cinema, ma quando l’ha fatto ci ha lasciato opere che non possono essere dimenticate. Ripercorriamo in sintesi la carriera del regista, ormai fermo ai box da più di dieci anni.
una Calibro 20 per lo specialista
Thunderbolt and Lightfoot, 1974
con Clint Eastwood, Jeff Bridges, Geoffrey Lewis, Gary Busey
Dopo aver lavorato come sceneggiatore per l’episodio più famoso dell’ispettore Callahan, Cimino esordisce alla regia su commissione per lo stesso Eastwood. Il risultato è un “heist-movie” controverso ma affascinante, dove possiamo iniziare ad intravedere il talento magnetico di una messa in scena a tratti pulsante. Bravissimo Jeff Bridges.
il Cacciatore
The Deer Hunter, 1978
con Robert De Niro, Christopher Walken, Meryl Streep, John Savage, John Cazale
Il primo film a raccontare la piaga dolente del Vietnam, il cult generazionale che ha regalato a Cimino l’Oscar. Tragedia intimista ed insieme spettacolo magniloquente, la rivelazione di un autore visionario e fortemente viscerale. Ruoli leggendari per De Niro, la Streep, soprattutto per un Christopher Walken mai più così intenso. Il momento-simbolo di questa epopea? Per noi, più che durissime sequenza di guerra, l’indimenticabile dettaglio del vino che sporca il vestito candido della sposa, presagio non riconosciuto di un futuro sanguinoso.
i Cancelli del cielo
Heaven’s Gate, 1980
con Kris Kristofferson, Isabelle Huppert, Christopher Walken, John Hurt
La pellicola che in un certo senso ha chiuso una stagione di cinema americano, decretando la “sconfitta” di chi ha provato a sorpassare le regole del sistema hollywoodiano. Flop clamoroso per una sinfonia affascinante quanto squilibrata, a tratti cacofonica. Paradossalmente la versione tagliata possiede una maggiore forza narrativa. Alcune sequenze rimangono da antologia: su tutte, il ballo che spezza il film in due. Cimino esagera nel suo titanismo, e frana di fronte ad un colosso stavolta più grande di lui.
l’Anno del dragone
Year of the Dragon, 1985
con Mickey Rourke, John Lone, Caroline Kava, Raymond J. Barry
Il seguito ideale de il Cacciatore, dove la guerra contro i “gialli” viene combattuta per le strade di Chinatown da un poliziotto (anche lui polacco) che è un crociato in guerra prima di tutto contro se stesso. Splendido action contemporaneo, barocco e sentito come nel miglior cinema di Cimino. Mickey Rourke non è mai stato così appassionato e maledetto. Perfetto lo script, merito anche di Oliver Stone.
il Siciliano
The Sicilian, 1987
con Christopher Lambert, Barbara Sukowa, John Turturro, Terence Stamp
L’unico vero lavoro di Michael Cimino che è difficilmente difendibile. Tratto dal romanzo di Mario Puzo, il Salvatore Giuliano dell’insostenibile Christopher Lambert funziona più come dongiovanni che come bandito novello Robin Hood. Molto meglio il viscido Pisciotta di Turturro. Spettacolo convenzionale, il film risente delle pessime scelte di casting e della poca ispirazione del cineasta. Primo sintomo di resa da parte di Cimino?
Ore disperate
Desperate Hours, 1990
con Mickey Rourke, Anthony Hopkins, Kelly Lynch, Mimi Rogers
Remake dell’omonimo film di Wyler con Bogart, segna il ritorno di Cimino con Dino De Laurentiis dopo l’Anno del dragone. Pellicola certo non “sentita” ma perfettamente funzionale ad uno spettacolo teso, duro, splendidamente cadenzato nel ritmo del montaggio. Gara di bravura tra gli attori tutti tirati al limite, in cui si distingue un Anthony Hopkins non ancora diventato divo. Cimino lavora su commissione e forse non ci mette il cuore, ma dimostra di essere ancora una volta un regista di enorme spessore cinematografico.
Verso il sole
The Sunchaser, 1996
con Woody Harrelson, John Seda, Anne Bancroft
Visto col senno di poi, l’ultimo film di Cimino appare come un testamento poetico ed un perfetto riassunto del suo cinema, squilibrato ma appassionato. Road-movie che attraversa i luoghi comuni della cultura americana per sorriderne ed insieme mitizzarli. L’autore non ha paura di correre verso il ridicolo con le ultime energie che possiede, ed a tratti la sua cavalcata verso il lago della salvezza si fa quasi commovente. A suo modo un cult.
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