|
Autore ormai apparentemente esaurito, incapace a quanto sembra di riproporre
gli stilemi e le sperimentazioni linguistico-narrative che hanno fatto
grande in passato il suo cinema, John Landis è stato omaggiato
di una retrospettiva completa dalla XXII edizione del Torino Film Festival,
che ne ha riproposto tutte le opere in pellicola e in versione originale.
Ebbene, la possibilità di rivedere in sala i primi, fondamentali
capolavori di Landis, mi ha letteralmente aperto gli occhi
su un regista che precedentemente avevo sì apprezzato, ma mai
considerato come uno dei massimi esponenti del cinema americano degli
anni 80. Ovviamente, mi sbagliavo. Osservatore acuto e serafico
della società americana in cui in quegli anni imperversava lo
yuppismo e il capitalismo esasperati - perfino un film minore
e su commissione come Il principe cerca moglie può
testimoniarlo -, Landis ne ha sistematicamente mostrato il lato oscuro,
anche se attraverso la lente deformante e preziosa del comico demenziale
o grottesco. Facendo questo, ha perfezionato con il passare dei film
uno stile assolutamente riconoscibile in ogni opera, mescolando con
estrema sapienza tutte le componenti del mezzo-cinema. Da Ridere
per ridere a Animal House, fino ai grandi
film del decennio successivo, ogni opera della prima fase della carriera
di questo cineasta possiede in sé una vena sovversiva ed iconoclasta,
capace di appropriarsi e allo stesso tempo demitizzare la way of
life americana. Proprio il primo successo commerciale di Landis,
che ha poi dato vita la redditizio filone dei college movies
più ridanciani e pasticciati - ma non dimentichiamo che Animal
house è targato anche Harold Ramis (co-sceneggiatore)
e Ivan Reitman (produttore), altri compagni davventura nellesplorazione
del cinema demenziale di quel periodo - esemplifica una volontà
precisa e coerente di mettere alla berlina quanto di più falsamente
bigotto e fuorviante possa esistere nel sistema educativo americano:
Animal house, in tutta la sua ingenua vena goliardica,
possiede già molto del successivo sviluppo estetico del cinema
del suo regista, pur ancora non pienamente espresso.
A prima vista il modo di dirigere di Landis, soprattutto il suo lavoro
sullinquadratura, potrebbero apparire come un approccio poco approfondito
alla realizzazione del film. Nulla di più inesatto. La precisa
volontà dellautore di girare le maggior parte delle inquadrature
con macchina fissa si rivela fin da The Blues Brothers
come un metodo perfettamente coerente nellassecondare un tipo
di comicità che necessita di uno specifico ritmo filmico. Il
cosiddetto demenziale portato sullo schermo da Landis, che soprattutto
nei film con John Belushi è un diretto discendente dello slapstick
del periodo doro di Hollywood, deriva la sua forza comica principalmente
dai tempi di reazione degli attori, che per essere maggiormente efficaci
necessitano di inquadrature che tengano un tempo prolungato; quello
per cui il regista si adopera è non sottolineare maggiormente,
con un apparato formale invasivo, quanto di già importante sta
venendo registrato dalla macchina da presa. Se analizziamo The
Blues Brothers, la peculiarità che salta immediatamente
agli occhi è che il montaggio confluisce allopera un ritmo
per nulla sincopato, tuttaltro. La distensione temporale aumenta
invece sia il senso di surrealtà nonsense (appunto
anche visiva) in cui si muovono i personaggi, sia la possibilità
che allinterno dellinquadratura si sviluppi improvvisamente
il lazzo, lacrobazia fisica, in poche parole lo humour. La fisicità
del duo Aykroyd/Belushi si sprigiona dallinterno dei personaggi,
non viene incollata al film dalle peripezie della macchina da presa.
Altro mirabile esempio di come Landis segua i suoi attori invece di
anticiparli è Tutto in una notte, in cui in
molte scene il film segue i tempi attoriali di Jeff Goldblum anche a
scapito - solo apparentemente - del ritmo della narrazione: invece di
chiudere una scena, spesso accade che il regista lasci che Goldblum
costruisca la densità del personaggio sullo spiazzamento temporale
delle sue reazioni fisiche e psicologiche; il suo Ned Oken, una sorta
di Buster Keaton spaesato e soprattutto rallentato dallinsonnia,
adopera tutto il tempo filmico necessario per arrivare a comprendere
situazioni a lui sconosciute o per reagire ad impulsi motori provenienti
dallesterno. La grande comicità di Tutto in una
notte, di certo il film più sottovalutato di Landis,
è data dallattesa surreale che qualcosa succeda, o venga
fatto. Goldblum è assolutamente fantastico nel suo essere sopra
le righe e contemporaneamente sempre un passo indietro rispetto ai tempi
che un film qualsiasi avrebbe richiesto; così facendo lattore
rallenta e impreziosisce, aiutato dalla sensibilità di Landis,
un noir che da reale si fa surreale, stonato, poetico. Linaspettato,
il deviante rispetto alla norma, il tempo scivolato rispetto ai parametri,
rende in qualche modo il cinema di questo autore paragonabile ad unimprovvisazione
musicale, del genere che lo stesso Landis tanto ama.
Con il passare delle pellicole si può inoltre notare come lo
stile preciso si sia poi evoluto, raffinato nei modi e soprattutto nella
fase di scrittura: pian piano i personaggi sono diventati più
simili agli eroi delle sophisticated comedy che non a quelli,
comunque mai abbandonati del tutto, delle slapstick comedy:
Una poltrona per due ne è lesempio più
lampante. Già la partitura musicale, che abbandona le gloriose
canzoni blues per trovare unefficacissima musica classica, dà
la misura del tentativo del cineasta di volare più alto; Landis
non dimentica il suo cinema dellassurdo e del parodistico, ma
lo inserisce in unambientazione e in una storia che lo contengono
allinterno di alcuni limiti dettati dal genere. Murphy e Aykroyd,
seguiti da un gruppo di caratteristi straordinari come Bellamy, Ameche,
soprattutto Elliott, sono assolutamente comici, ma di una finezza più
elevata rispetto alla debordante (e forse più efficace?) fisicità
delle figure che li hanno preceduti. Tuttavia, questo lavoro di sottrazione
sullistrionismo esagerato dei personaggi si poteva notare anche
in alcune operazioni precedenti: già nel passaggio da Animal
House a The Blues Brothers è evidente
come John Belushi abbia incanalato la sua dirompente fisicità
in un lavoro gestuale ed espressivo molto più stilizzato ad efficace,
arrivando ad una caratterizzazione strabiliante pur dentro i confini
imposti da un personaggio fortemente costruito: pensiamo al costume
sempre uguale, agli occhiali scuri sempre davanti agli occhi, alla laconicità
radicale di Jake Blues, e lo stesso avremo di fronte agli occhi unicona
imprescindibile della comicità americana di tutti i tempi, un
modello mitico almeno quanto il vagabondo di Chaplin o il picchiatello
di Jerry Lewis.
Invece che un cinema confuso e ridanciano, Landis con questo metodo
riesce comunque a costruire un universo filmico coerente ma altro,
incredibilmente imperniato sul realismo, in cui le regole imposte vengono
accettate immediatamente. Pensiamo ad esempio ad Un lupo mannaro
americano a Londra: anche se si tratta di un horror, la messa
in scena gioca sempre su un tipo di effetti speciali (ancora oggi straordinari)
che non mette mai in discussione leffettività e la realtà
del film, anzi ne conferma tali impostazioni. Le apparizioni di Griffin
Dunne sono un piccolo capolavoro di alternanza di piani di percezione:
sovrannaturale e reale si mescolano senza fare confusione, creando uno
spazio tangibile di senso che rimane equilibrato tra i due stadi: cè
un cadavere in decomposizione che parla con un essere umano in una stanza
dospedale o in un bagno, ma mai si mette in dubbio che limpostazione
di messa in scena data da Landis non sia assolutamente realistica. Il
gioco che si crea tra opera cinematografica e spettatore, una specie
di specchio che fonde la tangibilità della percezione e lirrazionalità
della visione, rende Un lupo mannaro americano a Londra
sicuramente una delle opere più complesse e stratificate della
filmografia dellautore, che oltretutto è finalmente riuscito
a dare con questo film libero sfogo a tutta la parte più macabra
e nera della sua vena umoristica.
Senza dubbio sommario e troppo breve, questo è il percorso che
abbiamo intrapreso allinterno del cinema di John Landis: un cinema
certo popolare e adatto, almeno in passato, allaccoglienza calorosa
del grande pubblico. Laugurio è che il regista, forse indissolubilmente
legato ad un periodo storico/sociale ormai defluito e superato, ritrovi
la vena che lo ha reso uno dei grandi maestri della comicità
cinematografica americana.
|