Abel Ferrara
Poesia ed estetica della perdizione
di Adriano Ercolani

 
 
Da sempre cantore di personaggi perdenti ed autodistruttivi, Abel Ferrara ha sperimentato nella forma cinematografica, oltre che nella struttura narrativa, la possibilità di esplicitare la propria filosofia, estetica e principalmente morale. Autore costantemente pervaso da forti correnti e tensioni interne, ha saputo regalare al suo pubblico figure di grande forza e magnetismo, adoperando sempre un cinema precisamente marcabile, connotativo, attaccato al personaggio: pensiamo alla claustrofobia metropolitana di opere come Il Cattivo Tenente (Bad Liutenant, 1992), King of New York (id.,1991), Fratelli (The Funeral, 1996). Il carattere principale di pressoché tutti i film di Ferrara è quello di un uomo costantemente lacerato dalla tensione che percorre tra le proprie azioni e la propria etica. Quelli di Ferrara altro non sono che sorte di angeli ribelli e decaduti, che cercano di ritrovare la salvezza espiando attraverso il peccato e la degradazione. Mantenendo costante questa poetica, Ferrara ha costruito negli anni numerose variazioni sul tema, soprattutto per quanto riguarda pura forma cinematografica. Ma non soltanto: King of New York e Fratelli ad esempio, seppur diversi nella struttura (corale il secondo, più incentrato sul carismatico Christopher Walken il primo) hanno un rigoroso sviluppo narrativo, che porta il climax verso l’inevitabile e violenta conclusione. Altre pellicole del cineasta, invece, si mostrano ai nostri occhi come decisamente sperimentali, anche nella costruzione della sceneggiatura: cosa dire per esempio dell’affascinante New Rose Hotel (id., 1998), in cui tutta la seconda parte del film si ripiega sulla prima e la svela? Muovendosi dunque su un terreno a lui conosciuto, e con dei personaggi sempre a lui congeniali, Ferrara ha interpretato in modo originale il cinema americano contemporaneo, seguendone e nello stesso tempo distruggendone gli stilemi. Tutte le sue opere più recenti – ad eccezione forse di Ultracorpi - L’invasione continua (The Body Snatcher, 1994) – sono film che non seguono un genere cinematografico ben delineato, ma in qualche modo rimandano al genere stesso: la fantascienza per New Rose Hotel, l’horror per The Addiction (id., 1995), il gangster movie molti dei suoi lavori. L’ambiguità della natura delle sue opere, sempre ibride, mai classificabili in base ad un’iconografia precisa, è in un certo qual modo coerente ed in sintonia proprio con i personaggi che in quelle opere vengono messi in scena, divisi e dissociati nel loro essere più profondo. La poesia, nel cinema di Ferrara, risiede nello stridore, nell’eccesso, spesso anche nella più smaccata perversione. Sotto il profilo perciò della coerenza interna tra figura rappresentata ed estetica della messa in scena (anche sotto il profilo visivo), a nostro avviso non c’è opera più riuscita nella filmografia del cineasta di The Addiction: il bianco e nero contrastato, lurido ed insieme splendente di Ken Kelsch, collaboratore fisso di Ferrara, esplicita perfettamente la dualità dell’eroina Lili Taylor, spinta dall’ansia di redenzione a cercare la salvezza attraverso il sangue, fino alla strage finale, culmine visivo e morale di un viaggio verso gli inferi mai così devastante e purificatorio.