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the Usual
suspects, Usa, 1995
di Brian Singer, con Gabriel Byrne, Stephen Baldwin,
Kevin Spacey, Chazz Palminteri
I soliti sospetti è una truffa, un inganno, un artificio.
Portato all'estremo, è questo il carattere della partita in cui
il regista e lo sceneggiatore coinvolgono lo spettatore. In tutti i
film sono in gioco i rapporti di sapere fra narratore, personaggi e
spettatore. Ma la partita de I soliti sospetti è molto
particolare: pur non discostandosi dai temi classici del noir-poliziesco,
lo spettatore è trattato in modo decisamente sfrontato. Gli si
chiede di giocare e gli si fa credere che può arrivare alla soluzione,
ma in realtà lo si inganna per tutto il tempo. Può vincere
solo se accetta di barare, come il film fa con lui. Quasi tutto I soliti
sospetti è infatti occupato da un flashback falso: il racconto
che Verbal fa a Kujan degli eventi delle sei settimane precedenti, durante
l'interrogatorio in un ufficio della polizia di San Pedro. È un esempio
di unreliable narration, artificio nel cui sfruttamento Singer trova
un illustre predecessore in Hitchcock, che nel 1950 fece scalpore con
la sua invenzione in Stage Fright (Sipario strappato). Nonostante
la fama del precedente (che i cinefili non avranno certo mancato di
riconoscere) si può ancor oggi continuare a osservare che la
fiducia assoluta dello spettatore nel narratore è un fenomeno
duro a morire. Quali sono i fattori che portano in maniera pressoché
spontanea ad attribuire pari legittimità e credibilità
sia all'entità astratta dell'autore sia al narratore all'interno
del film? C'è la percezione (motivata dall'iscrizione nel testo)
di un tacito mandato del primo al secondo, di un certo dominio che questo
esercita sulla situazione, della somiglianza dei comportamenti, di una
sanzione finale. Il narratore, essendo sostituto ed equivalente dell'autore,
sarà anche altrettanto fededegno. A ciò si aggiunga il
fatto che tra Verbal e Kujan, il testimone e il poliziotto, si instaura
la classica dialettica tra narratore e destinatario, che all'interno
del film rappresentano l'autore e lo spettatore. Verbal (con l'autore)
racconta, Kujan (con noi) ascolta. Quello che Verbal racconta è
visto da Kujan e da noi attraverso le immagini. Ma in questo caso mostrare
e raccontare non coincidono; la fiducia tra spettatore e narratore viene
rotta. Singer si spinge ancora più in là rispetto a Hitchcock:
se questi spostava la competenza e il sapere dalla parte del destinatario
del racconto, che diveniva capace di scoprire l'inganno e risolvere
l'enigma, meritando così la sanzione positiva alla fine del film
(mentre il bugiardo è punito con la morte), qui colui che riceve
la narrazione (polo che comprende anche lo spettatore) è tratto
in inganno fino all'ultimo, e scopre che tutte la sue deduzioni erano
errate solo quando è ormai troppo tardi per riacciuffare l'imprendibile
Keyser Soze. Grazie al lavoro di montaggio tra primissimi piani alternati
a sguardi soggettivi, con largo uso di falsi raccordi, gli sguardi attentissimi
ed evasivi che Verbal lancia all'ambiente e agli oggetti che lo circondano
sembrano smarriti e quasi impauriti: non sono certo interpretabili come
indizi che possano aiutare a comprendere la verità, ma rientrano
nei tanti piccoli trucchi di questo film individuabili solo a posteriori.
Ecco allora che, per lo spettatore, il piacere della visione non sta
nell'accompagnare passo dopo passo il poliziotto nella scoperta della
verità, ma proprio nel lasciarsi ingannare da un gioco sleale.
L'immagine e la logica
Sono molto numerosi i momenti in cui il lavoro dell'istanza narrante
viene messo in luce, e nel testo filmico si rivela l'intenzionalità
di una volontà che organizza gli eventi secondo una certa logica
e un certo fine. Particolarmente significativa a proposito risulta una
analisi del prologo (esecuzione di Keaton e incendio della nave). È
possibile individuare in questa sequenza un regime di enunciazione allo
stesso tempo oggettivo e marcato. Alcune immagini non neutre manifestano
in modo deciso un intervento che seleziona l'informazione disponibile
e ne dà una certa interpretazione: l'insistenza sui dettagli
dell'accendisigari, dell'orologio d'oro e dei piedi; le inquadrature
che lasciano sempre fuori campo il volto dell'uomo che spara a Keaton;
l'illuminazione fortemente contrastata che lo lascia costantemente in
ombra; il rumore off degli spari {l'immagine stacca su inquadrature
della nave immediatamente prima che partano i colpi); il ralenty della
sigaretta che, lasciata cadere, provocherà l'esplosione; il montaggio
che costruisce lo spazio della nave in modo frammentato attraverso inquadrature
parziali che non ce ne mostrano mai la globalità; il dettaglio
ripetuto del groviglio di corde, correlativo oggettivo del groviglio
degli eventi del film. Questi fatti accadono una sola volta, ma nel
corso del racconto vengono reiterati per ben tre volte, ognuna secondo
un differente punto di vista. Dopo la narrazione quasi oggettiva della
sequenza iniziale, è nella seconda reiterazione che si colloca
la menzogna del film {o almeno la più evidente - a posteriori):
l'assassinio di Keaton visto in soggettiva attraverso il racconto di
Verbal. Prevalgono soggettive che recano in sè il marchio della
visione, in quanto la visuale di Verbal è parzialmente ostacolata
da alcuni oggetti posti sul molo davanti a lui, alternate a inquadrature
frontali del suo volto angosciato. Ma è appunto un falso: Verbal
non si trovava affatto sul molo, e quelle immagini non raffigurano altro
che la sua invenzione. Nella sequenza immediatamente successiva, le
immagini rappresentano la visualizzazione delle congetture e deduzioni
di Kujan, cioè che l'uomo misterioso che spara sia proprio Keaton
(intanto Verbal ribatte: "Ho visto Keaton morire",
e in un certo senso è la verità...). Infine, nella sequenza
conclusiva del film, le immagini rappresentano ancora ciò che
c'è nella mente di Kujan, che è finalmente arrivato alla
verità. Tante messe in scena per tante verità diverse,
dunque. L 'istanza dell'enunciazione si rivolge su se stessa. E ci mostra
anche ciò che Verbal non dovrebbe poter vedere: ad esempio, ciò
che si svolge all'interno della nave. Pensiamo all'assassinio di Marquez:
le immagini che lo mostrano si trovano all'interno della raffigurazione
visiva del racconto di Verbal, ma per ovvie ragioni non possono farne
parte.
Più esattamente, non possono far parte di ciò che lui
dice con le parole. Queste immagini sono destinate allo spettatore direttamente
dall'istanza autoriale. Non è certo il risultato di un errore
nella sceneggiatura, ne tantomeno del ben noto artificio narrativo per
cui, nel flashback, l'enunciatore si serve del personaggio come narratore,
conferendogli la propria onniscienza. È bensì il risultato di
una precisa strategia testuale: una deliberata confusione tra ciò
che l'istanza narrante mostra e ciò che si presume il personaggio
veda. E qui, anche tra i personaggi che vedono. Nelle ultime sequenze
è estremamente difficile distinguere tra quello che "vedono"
Verbal o Kujan e quello che ci è mostrato "direttamente"
dall'istanza dell'enunciazione. Il culmine di questa incertezza è
raggiunto quando, attraverso un montaggio serrato e rapido, l'istanza
dell'enunciazione mostra le immagini di Keaton nei panni di Keyser Soze
come rappresentazioni mentali sia di Kujan che di Verbal: le alterna
a primissimi piani di Kujan determinato nell'esporre le sue conclusioni
e di Verbal dall'espressione incredula e angosciata.
Verità e rappresentazione
E come il paradosso del mentitore fa crollare tutta la logica classica,
così il flashback falso mette in questione la possibilità
di rappresentare la verità. La verità non è altro
che un percorso di lettura, il frutto di una transazione e di una interpretazione,
il risultato di un preciso lavoro all'interno del testo. La verità
è un discorso. E il racconto che cerchi di sottrarsi al totalitarismo
del verosimile è costretto a produrre una rigorosa strategia.
Una menzogna di questo tipo è in rapporto con l'uso di certi
procedimenti testuali: è frutto di uno "scarto tra due
mosse, l'una che consente di eleggere un porta-parola di chi guida il
film, l'altra che porta a rompere un tale rapporto fiduciario"
(Francesco Casetti). Ed ecco che Hitchcock, nelle celebri interviste
rilasciate a Truffaut, dice: "Non abbiamo nulla da ridire se
uno fa un racconto menzognero. ..allora perché non potremmo anche
raccontare una menzogna in un flashback?" Il fatto è
che il personaggio mente a parole, mentre le immagini sono "necessariamente"
interpretate come vere. Ma tutto ciò è espressione di
un pregiudizio ingenuo che pensa che le immagini siano di per sé
espressione di una verità. A noi, in questa sede, basta sottolineare
che il fatto che il film ci sia, funzioni, e che il narratore bugiardo
venga premiato, significa proprio che con le immagini si può
mentire.
L'illusione convince
In realtà questo l'abbiamo sempre saputo: non è altro
che il principio del cinema di finzione. Ecco allora che il trucco di
Singer assurge a metafora e celebrazione dell'illusione cinematografica.
Verbal non è altro che la figurativizzazione del potere creativo
e diabolico (e Keyser Soze è il diavolo) del grand imagier. Il
film è ricco di momenti metacinematografici: basti ricordare
la scena del confronto all'americana, un classico del noir, ma anche
un incorniciamento dei personaggi in uno schermo, nel quale ciascuno
recita una battuta. O il racconto nel racconto della mitica storia di
Keyser Soze, classico film nel film. La straordinaria performance di
improvvisazione retorica di Verbal è frutto di una perfetta operazione
di montaggio connotativo di inquadrature autonome e arbitrariamente
scelte cui egli dà un senso ("È un disordine sistematico:
non ci capisci niente a vederlo così, devi guardarlo a una certa
distanza", dice a Kujan il collega nel cui ufficio si svolge
l'interrogatorio). Fa credere a Kujan che il racconto si dispieghi da
solo grazie alla sua attività di spettatore-ascoltatore, facendogli
dimenticare che l'origine dell'enunciazione è proprio in lui
stesso ("Scoprirò quello che voglio sapere. Dimmi ogni
dettaglio. Convincimi." dice Kujan. E Verbal lo asseconda).
A questo punto si può giungere a una conseguenza estrema: il
flashback falso è anche un falso flashback: fabula e intreccio
non potrebbero essere più lontani. La Storia de I soliti
sospetti è quella di un criminale che viene interrogato,
inventa una balla e riesce così a togliersi dai guai. Il Discorso
de I soliti sospetti è il racconto, reso possibile
dalla menzogna cinematografica, di questa invenzione.
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