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Italia, 1975
di Lina Wertmüller, con Giancarlo Giannini, Fernando
Rey, Elena Fiore, Shirley Stoler
Come si può, attraverso la fiction di un lungometraggio, raccontare
lorrore? Come si fa ad intrappolare una tragedia come lOlocausto
in un contesto altro come la rappresentazione cinematografica?
Anche la scelta documentaristica, massima espressione di adesione alla
realtà ed alla storicità dei fatti, non riesce però
a vanificare la distanza spazio/temporale tra laccadimento e la
narrazione dellaccadimento stesso. Si può appunto provare
a raccontare, si può tentare di testimoniare ciò che è
stato: Steven Spielberg, con Schindlers List,
è stato probabilmente lautore che in questo senso ha partecipato
più di tutti alla tensione verso la narrazione - simpatetica,
non cè dubbio - di un processo storico/sociale di così
inaudita incomprensibilità. Il suo lungometraggio è probabilmente
lespressione più alta di come il cinema possa avvicinarsi
e provare a raccontare ciò che è successo, nella maniera
più fedele e sincera possibile consentita ad un mezzo che è
sempre comunque finzione, e che perciò non sarà mai testimone
assoluto dei fatti, in qualsiasi forma esso si presenti.
Per questo forse, invece di raccontare ciò che a nostro avviso
non può essere raccontato, proprio a causa dellessenza
stessa del mezzo/cinema, che altro non può fare se non mettere
in scena anche la realtà più oggettiva, forse più
che raccontare appunto sarebbe opportuno il tentativo di interpretare:
scegliere una chiave di lettura, un fulcro attraverso il quale provare
a mostrare un possibile significato (si badi bene, un, non
il) di quello che è stato lorrore dei campi
di concentramento. E quale lente può essere più appropriata
per affrontare una tale aberrazione se non quella del grottesco? Lina
Wertmüller con Pasqualino Settebellezze compie
linaudito esperimento di mettere in mostra il delirio, il caos,
e di restituirne allo spettatore non una forma organizzata e realistica,
ma tutta la forza barocca e cupa di un inferno dantesco. Il percorso
che lautrice sceglie è quello di un misero e sfigatello
guappo napoletano, che per assecondare il proprio istintivo desiderio
di vita affronta e sguscia tra tutte le peripezie possibili, fino ad
arrivare allinferno dei lager: dunque farsa, pochade, lazzo comico
alla Pulcinella, e poi ospedali psichiatrici, prigioni, infine campi
di sterminio. Il mezzo attraverso cui il grottesco riesce meglio ad
esprimersi è senza dubbio il contrasto, laccostamento di
due espressioni contrarie dal cui stridore viene generata energia propulsiva.
Questo è Pasqualino Settebellezze: una farsa
atellana attraverso cui si presentano dolore ed orrore, non comprensibili
a livello razionale e quindi altri; in questo caso, non
si può non procedere per accumulo spropositato di informazioni
e dettagli, fino a raggiungere loverdose sensoriale che porta
alla deformazione. Perciò il film è un susseguirsi di
colori forti, suoni roboanti, luci sparate, il tutto mescolato con grandiosa
vena barocca dalla Wertmüller, che mette in scena uno spettacolo
tanto prezioso quanto efficacemente stordente: dai siparietti napoletani
ai dormitori dei prigionieri, ogni immagine è carica di una pregnanza
visiva di straordinaria efficacia e di assoluta coerenza, quasi impossibile
da tirar fuori in una così eterogenea composizione di luoghi
e storie. Eppure il miracolo accade, ed il film si regge su una sceneggiatura
capace di sbizzarrirsi in ogni direzione eppure di mantenere una solidità
narrativa ammirevole. Anche i personaggi, ognuno specchio di una metafora
assolutamente esplicita, contribuiscono a questo gioco di sovraccarico
che porta ad una comprensione diversa da quella razionale, più
interna e viscerale. Pasqualino Settebellezze è
un film che arriva alla testa dello spettatore adoperando la strada
impervia del riso più cupo, di quello di cui qualche volta ci
si vergogna. La resa grottesca del delirio organizzato è resa
al suo massimo potenziale nella folgorante scena dellamplesso
tra lo smagrito Pasqualino e lopulenta aguzzina tedesca, che costringe
il prigioniero allatto sessuale a prezzo della vita. Dopo, quando
questa struggente ed insieme ridanciana tragedia visiva si sarà
consumata, le parole della matrona saranno perentorie: Tu
fai schifo a me. Tua voglia di vivere fa schifo a me. Tuo amore fa schifo
a me. In Parigi un greco faceva lamore con unoca: faceva
questo per mangiare, per vivere. E tu, larva subumana mediterranea,
riesci a trovare la forza per tua erezione di maschio. Per questo rimarrete
voi, vincerete voi, piccoli vermi vitali senza ideali né idee.
E noi, i nostri sogni di unumanità eletta
troppo
difficile
.
Chiudiamo questo doveroso tributo ad uno dei film più sottovalutati
della storia del cinema italiano con laltrettanto doverosa menzione
allinterpretazione di un grande Giancarlo Giannini, qui al meglio
delle sue enormi potenzialità interpretative: nel dettaglio dei
suoi occhi, che nellultima inquadratura del film dicono senza
più crederci Sì, sono vivo
,
si chiude una delle opere più affascinanti e sconcertanti della
nostra cinematografia, un baraccone deviante e disturbante come solo
i grandi lungometraggi sanno essere.
Da riscoprire, per farci i conti ancora una volta.
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