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Comes a Horseman,
Usa, 1978
di Alan J. Pakula, con James Caan, Jane Fonda, Jason
Robards Jr., Richard Farnsworth.
Il modo migliore per analizzare la crisi di un genere cinematografico
è probabilmente quello di trovare i sintomi della stessa proprio
nelle opere di confine, in quei film cioè che si
presentano come evidenti esposizioni di uno svuotamento semantico ed
estetico. Questo semi-sconosciuto e poco apprezzato lungometraggio di
Alan J. Pakula - uno dei grandi registi americani che negli anni 70
ha fatto di una rarefatta sottrazione il suo marchio stilistico - si
pone quindi come perfetto esempio di western che al suo interno discute
metaforicamente gli ormai demoliti stilemi del genere. Non stiamo parlando
del troppo abusato e celebrato concetto di western revisionista
o del filone più crepuscolare, ma della riproposizione bloccata
di una visione classica del mito della frontiera. In Arriva
un cavaliere libero e selvaggio sono contenuti infatti tutti
i principi cinematografici fondanti del periodo classico, ma rivisitati
secondo una forma - coerente e precisa - che ne annulla qualsiasi effetto
di sedimentazione verso la classicità.
Il primo, fondamentale momento di trapasso è già contenuto
nellambientazione temporale della storia, scritta da Tennis Lynton
Clark: non più letà dei pionieri, ma linizio
degli anni 40, in unAmerica che con lingresso nella
seconda Guerra Mondiale superava la crisi della Grande Depressione
e si apprestava a trasformare definitivamente la propria economia in
industriale. Nel film infatti il vero duello non è tanto tra
lavido proprietario terriero Jacob Ewing (uno straordinario Jason
Robards) e lallevatrice Ella, ma, come si esplicita più
chiaramente nella seconda parte del film, tra un sistema economico e
sociale ormai in declino ed un capitalismo rampante ed inarrestabile
- la banca, che qui si ripropone con la stessa forza del
mostro astratto dei migliori romanzi di Steinbeck. Nel voler rappresentare
questo momento di resa il film di Pakula ha unintuizione geniale
nel delegarlo ad una splendida figura di contorno, il vecchio mandriano
Dodger/Richard Farnsworth: il saggio e ferroso compagno di lavoro che
incarna, nelle parole ma soprattutto sulla pelle, la mummificazione
di un periodo che non può sopravvivere al progresso.
In un tipo di messa in scena che fonda il suo principio primo nella
stasi, nel collasso dellazione drammaturgica, le frasi del vecchio
Dodger risuonano come leco di una situazione non più attuale,
o meglio non più attualizzabile. Anche la sua morte, coscientemente
solitaria e tenuta fuori campo, suona come immobile presa di coscienza
nei confronti del western stesso, che alla fine degli anni 70
sembrava essere un genere non più inseribile nellimmaginario
collettivo americano, forse sostituito dalla nuova frontiera delle guerre
stellari. Ed ecco allora che lintero film si presenta come intenso,
lucido affresco che raffigura il vuoto: Pakula scardina dalla messa
in scena ogni possibile svolta che possa provocare azione, raggelando
volontariamente la pellicola fino a renderla manifesto. Arriva
un cavaliere libero e selvaggio non è certo un capolavoro
di cinema: i personaggi sono piuttosto stereotipati, la sceneggiatura
procede per accumulo, non per svolte narrative ben delineate, e soprattutto
Jane Fonda è del tutto fuori parte. Il film però possiede
una sinteticità di fondo che spiazza: povero anche
nei mezzi - ci saranno quattro, massimo cinque ambienti ricostruiti
in maniera volutamente spoglia - se ne rimane silenzioso ed immobile
a raccontarti proprio questo, del suo non poter più essere, del
suo non avere più una collocazione: non più cinema di
un tempo, sicuramente non proiettabile verso il futuro. Anche la resa
dei conti finale viene sbrigata in pochissime inquadrature, perché
quello che conta in fondo è il dettaglio finale: il ranch, primo
simbolo collettivo ed unificatore del western, brucia nel silenzio più
totale. Lultima inquadratura del film mostra in campo lunghissimo
i due amanti fermi di fronte alle macerie della loro vecchia magione.
I due tengono in braccio delle assi di legno: forse la dimora verrà
ricostruita, ma non in questo film, non più al cinema
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