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Italia, 1981
di Lucio Fulci, con Catriona McColl, David Warbeck, Cinzia De Monreale,
Antoine St. John, Veronica Lazar, Anthony Flees, Giovanni De Nava, Michele
Mirabella, Laura De Marchi, Giampaolo Saccarola, Pier Luigi Conti
Trama Nel 1927 una folla inferocita lincia orrendamente un pittore che è
accusato di praticare la magia nera all'interno di un hotel di New Orleans.
Ma il pittore è in realtà il guardiano di una delle sette
porte dell'inferno. E proprio su questa porta è costruito l'albergo.
Ai giorni nostri, una donna eredita l'hotel: macabri avvenimenti
cominciano ad funestare il luogo.
Gore e grammatica
Spesso la ragione di vita del cinema fulciano viene da molti (sia fan
che denigratori) ascritta al bisogno adolescenziale del gore spietato,
gratuito ed estremo, relegando l'efficacia della lingua del regista
romano alla pura soddisfazione exploitation dell'immagine rivoltante.
Ma il cinema di Lucio Fulci nasconde di più. Autore dalla poetica
originale e forte, e insieme, come molti altri suoi contemporanei, artigiano
del cinema popolare di estrema duttilità, Fulci fonde con stile
unico l'attenzione per l'immagine e la grammatica della narrazione con
il realismo splatter estremo, e infine con le esigenze dell'ambiente
produttivo all'interno del quale deve e vuole muoversi: il cinema di
genere. Summa complessa e squilibrata di questi tre elementi fondanti
è l'Aldilà, tentativo di creare un discorso emotivo
fondato sulla costruzione in senso astratto delle immagini, all'interno
di una storia piena di morti che resuscitano e occhi cavati coi chiodi.
Limiti La sceneggiatura del film - di Dardano
Sacchetti - è una riproposizione abbastanza stanca di temi ed idee
classici (le porte dell'inferno, fantasmi ciechi, zombie e morgue) per
di più scritti senza troppa attenzione alla logica (per non parlare
della costruzione di archi narrativi e personaggi); il film deve inoltre forzatamente contenere gli zombie per motivi
distributivi (all'epoca in Germania erano garanzia di successo). Accettati
questi limiti, Fulci decide di mettere in piedi un atto di terrorismo
verso il genere, strategia che già aveva avuto almeno un gigantesco maestro,
con esiti e mezzi diversi, nell'opera di un autore come Mario Bava. Il
piano d'azione prevede di sospendere la violenza nella nebbia, gelare
le membra strappate nella formaldeide del gotico, mantenere sospiri
astratti in equilibrio con le ferite da arma da fuoco. Questo equilibrio
imperfetto è perseguito tramite il rigore di una messa in scena
che non si permette mai di trascurare la fotografia e la scelta dell'inquadratura,
con un piglio e una qualità che difficilmente ritroviamo in altri
b-movie. Là dove l'esigenza di portare a casa il girato entro
budget e scadenze rende difficile qualsiasi serio discorso di controllo
sul linguaggio delle immagini, Fulci si permette invece
di moltiplicare o inserire in determinati punti inquadrature che dilatano
la narrazione non per motivi di metraggio o per indugiare sul gore,
ma per scelte di ritmo e atmosfera, perseguendo una visione personale.
Sabotaggi
Quest'infiltrazione di elementi non "necessari" fra le esplosioni
di sangue, crea uno speciale ed originalissimo effetto di sabotaggio
dello standard. Il protagonista maschile del film, David Warbeck, si
divertiva con una certa cattiveria ad inserire volutamente errori di
continuity (legati, ad esempio, al caricamento della pistola) sapendo
che, se li avesse ben contenuti ai margini dell'inquadratura, la produzione
non se ne sarebbe accorta. Allo stesso modo Fulci si inserisce nel genere
da una parte portandolo alle estreme, iperrealistiche conseguenze (l'ultragore),
dall'altra invadendolo con alcuni raffinati "cambi di marcia"
assolutamente puntuali ed efficaci. Vere e proprie smagliature del ritmo,
rallentamenti della visione, intuizioni stranianti, che compongono con
gli altri elementi una poetica che sembra incarnare un'enorme, paradossale
rabbia, devastante e raffinata. Ma come detto, oltre questo non rinuncia
(anche perché non può) alle asperità trash di una
cattiva sceneggiatura e delle esigenze di mercato, senza però
che questi elementi disturbino il discorso peculiare del regista romano:
"L'Aldilà è cinema di immagini, che devono
essere assorbite senza alcuna riflessione". Questo discorso
che passa astrattamente per l'emozione pura, rivela la grande ammirazione
di Fulci per l'Artaud che propagandava un linguaggio basato sull'impressione
diretta sui sensi piuttosto che sulla logica dell'espressione attraverso
i segni, cosa che ancora una volta avvicina molto le aspirazioni fulciane
a quelle di Mario Bava. Da questo punto di vista, gli elementi traballanti
del film funzionano "a contrasto": proprio perché il
plot è consumato e mal costruito, lo spettatore può affrancarsi
dalle necessità della logica e abbandonarsi al flusso visivo.
Gli occhi e le regole
Con la paradossale ironia nichilista che lo contraddistingue, Fulci
ama prendersela particolarmente con gli organi principalmente deputati
ad assorbire le emozioni cinematografiche, gli occhi: "sono
i primi che devi distruggere... hanno visto troppe cose cattive!"
Più che in altri film fulciani, gli occhi ne l'Aldilà
vengono sadicamente frantumati, o comunque accecati, come se il
veicolo attraverso cui l'astrattezza del cinema deve funzionare non
sia neanche più la vista, ma piuttosto una sconosciuta empatia,
un'onda emotiva diretta e fortissima. Solo così, contro alcune
delle regole del cinema popolare, si può raccontare un "film
assoluto, che contiene tutti gli orrori del mondo, un film senza storia".
Detta da uno che riconosceva con allegria il suo cinema sia nei Franco
e Ciccio movies che nelle commedie con Buzzanca, negli western iperviolenti
come nelle farse sexy di Edvige Fenech, nell'horror più viscerale
come nel dramma storico (Beatrice Cenci), questa dichiarazione
di intenti, anche alla luce della riuscita del film, ha la disarmante
sincerità un po' gaglioffa ma credibile di chi il cinema lo ha
fatto solo per esigenza. Che fosse espressiva o di sopravvivenza, o
come spesso accadeva, per entrambi i casi contemporaneamente.
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