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Prima sui tacchi, poi
sulle punte
Volteggio e giro tuttattorno,
faccio proprio così
E ogni volta giro tuttattorno,
e ballo il Jim Crow
Il 6 ottobre 1927 un pubblico ascoltò per la prima volta un monologo
di circa un minuto in una sala cinematografica: nasceva lera del
sonoro. Il film proiettato era Il cantante di jazz (The Jazz
Singer) di Alan Crosland, il primo di una lunga serie di film che reca
la parola jazz nel titolo. Come quei pochi secondi bastavano a far dimenticare
che i restanti 87 minuti erano muti, così quella parola, posta
in calce alla locandina, bastava a definire come jazz una colonna sonora
che da questo genere era lontanissima. Il cantante di jazz e
Il re del jazz (The King of Jazz, 1929) di John Murray Anderson
sono i capostipiti di una tendenza mistificatoria verso la cultura afroamericana
che si protrarrà per decenni.
In realtà, il cantante di jazz non era neanche nero, era unimmagine
di nero ironizzato nella famosa figura dei minstrel, conformemente a
una pratica ben consolidata. Il protagonista, Al Jolson, con il volto
annerito da un sughero bruciato e con una parrucca nera e crespa in
testa, è uno degli ultimi esponenti di questo spettacolo di varietà,
nato dalle antiche origini del music-hall e del teatro anglo-irlandese
del XVIII secolo, che vedeva impegnati attori bianchi nella parodia
beffarda di ingenui e goffi neri. Proprio nellambito di questa
forma di intrattenimento e divertimento nacquero personaggi popolari,
come Jim Crow (che diede il nome alle leggi razziste e segregazioniste:
si ebbero leggi Jim Crow, Chiese Jim Crow e
treni Jim Crow), Mr Bones e Mr Sambo.
Se Il cantante di jazz faceva ascoltare una musica ben lontana da quello
che il titolo lasciava immaginare, è probabilmente perché
il pubblico si aspettava esattamente questo, dato il successo di pellicole
e di cartoni animati successivi. È proprio nellambito dei
cartoon, durante il paternalistico New Deal, che viene presentato tutto
linventario dei pregiudizi americani: il nero presente in questo
cinema obbedisce alle regole eurocentriche del buon selvaggio. Louis
Satchmo (bocca a sacco, grande bocca)
Armstrong detiene il record di comparse nei film, immortalato in pellicole
come Due cuori in cielo (Cabin in the Sky, 1943) di Vincente
Minnelli, Alta società (High Society, 1956) di Charles
Walters o Hello Dolly! (1969) di Gene Kelly, in ampi sorrisi,
con il faccione contratto in una smorfia caricaturale, roteando gli
occhi con estrema gentilezza. Armstrong è diventato lincarnazione
perfetta del musicista nero, felice e soddisfatto per il semplice fatto
di poter suonare: il solo soffiare nel proprio strumento gli dà
la possibilità di dimenticare le difficoltà o il dolore.
Solo in poche, ma emblematiche occasioni Armstrong ha dimostrato di
sapere essere un ottimo attore drammatico, come il La città
del jazz (New Orleans, 1947) di Arthur Lubin, in cui alla testa
di un gruppo di jazzisti, si allontana dalla città dopo la chiusura
dei locali a luci rosse nel 1917. Il ruolo di intrattenitore
sempre pronto al riso, allautoironia, che trova le sue radici
nello spettacolo dei minstrel e passa per infinite pellicole, è
amplificato dal tratto caricaturale e deformante dei cartoon. Ne Il
re del jazz, compare un breve inserto animato, opera di Walter Lantz,
che poi creerà la serie delle Swing Symphonies per la Columbia.
In questi pochi minuti vediamo Paul Whiteman (la cui musica sinfonica
diviene talmente famosa da fargli guadagnare lepiteto di re del
jazz, insieme a George Gershwin o Benny Goodman) alle prese con un leone,
che lo insegue per mangiarlo. Le pallottole che il musicista spara contro
lanimale sono il pretesto per gag divertenti: il leone si spoglia
della propria pelle e lascia che la pallottola suoni sulle sue costole,
diventa uno xilofono, poi il piombo rimbalza sui suoi denti come sulla
tastiera di un pianoforte. È il violino suonato dal direttore
dorchestra a placare la belva. Whiteman incontra vari animali,
un coniglio, una scimmia, un serpente, un elefante
e qualche nero
che danza a ritmo di musica. Alla fine dellinserto animato capiamo
che Whiteman è in Africa per portare la Musica, mentre lintera
pellicola prolifera di clichés cinematografici e musicali. Nei
vari cartoon prodotti dalla Disney, dalla Warner o dalla Metro, Armstrong
viene dipinto come un gatto, Cab Calloway si trasforma in pesce e così
via, fino a coprire lintero inventario animale.
Nei numerosi film che hanno ritratto musicisti neri, la loro immagine
spesso oscilla fra due estremi, entrambi ampiamente stereotipati: il
nero spensierato, semplice, rassicurante, lincarnazione della
gioia infantile, il cui unico compito è sorridere e suonare una
musica divertente e ritmata (stereotipo dal quale solo Duke Ellington
è riuscito a sfuggire), e il musicista maledetto, drogato o alcolizzato,
spinto da una carica autodistruttiva, immagine che comincia a comparire
dopo la seconda guerra mondiale. Entrano in scena la droga e lalcol,
la miseria e la disperazione. Limmagine altrettanto stereotipata
degli artisti maledetti, che informa pellicole come La signora del
blues (Lady Sings the Blues di Sidney G. Furie, 1972), arriva fino
ai giorni nostri. Bird di Clint Eastwood (1987) o A mezzanotte
circa (Round Midnight di Tavernier, 1986), pur essendo film magistrali
e girati con la palese intenzione di rendere omaggio ad artisti amati,
non si discostano da quellimmaginario che la cinematografia tradizionale
ha contribuito a creare. Sicuramente una pellicola che se ne discosta
in maniera profonda è Mo better blues (1990) di
Spike Lee. Il regista americano, in linea con lintera sua opera,
fa riferimento alla tecnica hollywoodiana classica e la porta a livelli
molto alti, ma rovesciandone il soggetto. Utilizza immagini tradizionali
di genere, per parlare del popolo che da quella stessa cinematografia
era stato rappresentato con infiniti pregiudizi. Qui i musicisti sono
tutti giovani, belli, ricchi; le immagini sono pulite, sensuali. Spike
Lee usa il jazz come unarma culturale: attraverso la musica, i
suoi personaggi acquistano fama, ricchezza, divengono sex symbol. La
comunità neroamericana recupera la propria arte, ricrea la propria
identità, per prendere coscienza della ricchezza e originalità
della propria storia.
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