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^ Joe Dante sul set (a sinistra) Non ce laspettavamo, forse irrimediabilmente disillusi circa lattuale presa del genere in questione sul pubblico. E invece laccoglienza ottenuta dalla serie dei "Masters of Horror", giunta alla seconda edizione e presentata, come nel 2005, in anteprima al Torino Film Festival, si è rivelata con tutta probabilità ancora più calorosa di quanto già non fosse stata nella scorsa edizione della rassegna. Sarà forse il nostro passato da FantaFestival, ma ci fa sempre piacere trovarci in mezzo ad una folla di horrorofili scalpitanti, gli addetti ai lavori - come il sottoscritto, in questo caso - misti al pubblico pagante, tutti in attesa di poter entrare in sala ed urlare - letteralmente - le proprie emozioni in faccia allo schermo. Tanto più che le emozioni non sono davvero mancate, in questa seconda edizione dei masters, serie creata e prodotta da quel ragazzaccio di Mick Garris, evidentemente abile nellorganizzazione molto più di quanto non lo sia stato nel dirigere il suo episodio. La formula è invariata: si tratta sempre di sei film di unora ciascuno, misura che inizia a piacerci, in quanto evita inutili lungaggini - a molti horror contemporanei, pur discreti, avrebbe giovato il taglio di una mezzora - sensibilizzando gli autori alla sintesi ed alla stringatezza, virtù cardinali di ogni buon film di genere. È inoltre palpabile la libertà creativa di cui devono essersi giovati i sei cineasti, derivata dalla confezione, produttivamente parlando, semi-indipendente: dispiace dirlo, ma era tempo che non si vedeva un così allegro ricorso al gore e allultra-splatter nellhorror, soprattutto abbinato a vicende nerissime e politicamente corrosive (Landis, Dante e Carpenter su tutti). Entrando nel merito, se nel primo "Masters of Horror" si distinguevano tra tutti gli episodi proprio quelli di John Landis e Joe Dante - ma era notevole anche il contributo di Carpenter - in questo secondo capitolo la questione non si pone affatto, essendo "the Screwfly Solution" del regista de lUlulato un vero e proprio capolavoro, forse il miglior film delle due stagioni. In sessanta tiratissimi minuti, Dante squaderna sullo schermo unapocalisse che non sarebbe dispiaciuta a Romero: nella più aurea delle tradizioni, la sua tetra vicenda prende le mosse da uno spunto fantastico e poi inanella un crescendo narrativo inarrestabile e terribilmente verosimile, facendo polpette di un pubblico in vena di disimpegno. Proseguendo, ancora godibilissimo il lavoro di John Carpenter: con "Pro-life" lautore di Carthage realizza il suo ennesimo Distretto 13, e la cosa peggiore è che noi continuiamo ad amarlo, nonostante il meccanismo inizi a mostrare davvero la corda. Minori, rispetto allo scorso anno, i film di Landis ("Family") e Garris ("Valerie on the Stairs"), mentre a nostro avviso più ispirato rispetto al 2005 è stato Dario Argento: il suo "Pelts" è tutto giocato sulleccesso - a partire dalla presenza come protagonista di Meat Loaf Aday - e in questo trova un buon equilibrio, infilando anche un paio di indimenticabili sequenze di puro horror; la vicenda è poco più che pretestuosa, ma lo stile riesce ancora a trapelare, ed è già più di quanto ci aspettassimo dal maestro romano. Si conferma autore interessante il Brad Anderson del cult Session 9 (suo è lepisodio "Sounds Like"), ma da lui vogliamo ancora conferme cinematografiche: sicuramente, e qui parla lo spettatore più che il critico, non ha giovato al suo lavoro lessere accoppiato, in fase di proiezione, a quello di Joe Dante. Il contrasto è stato stridente. Trattandosi di film girati a budget relativamente basso, in alta definizione, la resa fotografica generale è davvero buona: azzeccati i colori della tranquilla provincia americana di Landis, le luci dellincubica clinica di Carpenter, le ombre del palazzo degli scrittori di Garris, oltre ovviamente al look apocalittico del poderoso "the Screwfly Solution", i sessanta minuti più emozionanti di questo ventiquattresimo Torino Film Festival. |