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id., USA, 2005
di Martin Campbell, con Antonio Banderas, Catherine Zeta-Jones,
Rufus Sewell
Martin Campbell, regista di provata esperienza nei territori dellaction,
dellavventura e della spy story, rilegge il nerovestito intrepido
spadaccino nato negli anni Venti come un eroe vecchio stampo, privo
di super poteri (si pensi a Batman), paladino della giustizia in difesa
dei popoli oppressi. Ha qualcosa di moderno il Banderas/Alejandro De
La Vega presentato nel primo capitolo come un buffo imitatore del suo
mentore (il vero Zorro) e alle prese, in questo secondo episodio, con
una famiglia tutta da confermare. La sottotraccia affettivo-sentimentale
- il rapporto con il figlio, inconsapevole della sua altra
identità, e con la moglie Zeta Jones/Elena incastrata in un intrigo
internazionale da mediocre cappa e spada, ai confini con un improbabile
registro spionistico alla Fleming - stimola curiosità e interesse
fino ad un certo punto. A ravvivare il tutto non bastano neanche la
grottesca caricatura dellantagonista Pastore (a guardarlo bene
potrebbe essere una strampalata mutazione del Reverendo Powell de la
Morte corre sul fiume) e lo sforzo, inutile, di Rufus Sewell
di apparire per come non è. Tuttavia the Legend of Zorro
offre, soprattutto con la seconda parte, animate schermaglie amorose
memori della grande tradizione comedy hollywoodiana; in soldoni, se
nel primo episodio la comicità puntava su registri da macchietta
alquanto slapstick, qui, a tratti, sembra di penetrare nel grande universo
della screwball con leterna e gustosa lotta fra i sessi. In fondo
la trovata di immergere un personaggio dellOttocento (apparso
per la prima volta tra le pagine del romanzo di Johnston McCulley La
maledizione di Capistrano) in una corrida futuristica - con tanto
di laboratorio wellesiano e cospirazione carbonara per distruggere la
nazione più forte (lAmerica) con la glicerina del sapone
che diventerà nitroglicerina (prima forma di esplosivo) - tende
a poco a poco a stridere prepotentemente con lintera vicenda.
D'altra parte non mancano certo imprese rocambolesche al limite del
verosimile, con balzi pericolosi, straordinarie (quelle si) coreografie
per lame incrociate, esplosioni incredibili accompagnate dallintervento
quasi fastidioso e ridondante delle partiture affidate al veterano e
pluripremiato James Horner.
Meritano qualche commento le interpretazioni del piccolo Adrian Alonso
nei panni del figlio intraprendente e pestifero di Alejandro, e di Oscar
Luis Menchoso, una sorta di Padre Cristoforo strattonato in ineguagliabili
scazzottate alla Bud Spencer e Terence Hill.
Poca cosa, però, rispetto al successo della pellicola precedente,
forse elogiata per quella ventata di novità e freschezza attribuita
al cavaliere mascherato in lotta contro i soprusi. La sceneggiatura
poteva insistere sulla problematica dellidentità e degli
oneri gravanti sul protagonista (come già aveva fatto, in maniera
esemplare Spider Man 2); non tutti però sono
Sam Raimi (e meno male), dunque si è preferito intervenire su
talune corde (la comicità un pochino più tirata e la pura
azione) piuttosto che altre.
E dire che la vera leggenda di Zorro naviga tra le acque tortuose del
XVII a cavallo tra stregoneria, inquisizione e scorribande di vario
genere, assegnate al fantomatico Generale De Guzman, usurpatore del
Messico nei romanzi, ma nella realtà novello Robin Hood.
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