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Italia, 2003 di
Ferzan Ozpetek, con Giovanna Mezzogiorno, Massimo Girotti, Raoul
Bova
Ammettiamo un vago disagio a scrivere de La finestra di fronte:
forse andrebbe rivisto un paio di volte, magari pure una decina, aguzzando
bene la vista come in un gioco enigmistico. Quello che infatti lascia
perplessi, con il dito alzato sulla tastiera, è il plebiscito
di pubblico e critica a favore di un film che, anche al di là
dei normali e variabili giudizi di valore, ha enormi difetti di scrittura
e una credibilità visibilmente traballante. La falla su cui ci
arrovelliamo (sarà una nostra svista madornale?) è la
mancanza di nesso tra le due storie parallele di Giovanna e del vecchio
Davide, che si spartiscono il film: l’una intenta ad accarezzare un
adulterio con il bel tipo del palazzo di fronte, l’altro segnato dal
ricordo di un clandestino amore omosessuale, a cui si aggiungevano i
pregiudizi contro gli ebrei dell’epoca delle leggi razziali.
Qual è la relazione, palese o sotterranea che sia, tra la vicenda
di quest’ultimo, tragica e intensa, e i vacillamenti matrimoniali di
una giovane moglie, destinata a tornare doverosamente all’ovile? È
un vuoto niente affatto marginale, ma un gigantesco non-senso piazzato
al cuore stesso del film. Il nesso dovrebbe in teoria stabilirsi, dopo
il contatto casuale (Davide perde la memoria e viene accolto dalla famiglia
della protagonista), nel momento in cui Giovanna ricavi qualche insegnamento
da quella storia, in cui questa segni in qualche modo la crescita e
il destino della sua, facendole da contrappunto: ma la scelta di rinunciare
a Lorenzo non è forse segnata più che altro da quell’improvviso
capovolgimento del punto di vista, quando dalla casa dell’uomo si trova
davanti alla propria finestra, diventata improvvisamente l’estranea
finestra di fronte? E, soprattutto, quanta consapevolezza c’è
in questa rinuncia, vista l’enfasi (furba) con cui Ozpetek sottolinea
il vano inseguimento finale per le scale? Giovanna grazie a Davide sceglie
di abbandonare la polleria per dedicarsi ai dolci. Questa è l’unico
contatto tangibile, in termini di scrittura ragionata, tra i due personaggi.
Anche volendo accettare l’assoluta incompatibilità delle due
trame, assistiamo sconcertati al fatto che la storia di Davide si conclude
effettivamente a due terzi del film, con il colpo di scena che ci chiarisce
come Simone non sia lui ma il suo amante, mentre il Nostro si riveli
un ricchissimo genio della pasticceria. La sua vicenda si conclude qui
(decesso escluso, ma ininfluente): la sua unica, necessaria giustificazione
diventa così quella che si connetta e continui in quella di Giovanna.
Ma non succede. È una vicenda chiusa e conclusa, un corpo estraneo
capitato nel film come Davide è capitato a caso nella vita di
Giovanna, una meteora precipitata a movimentare i sonnolenti ménage
condominiali dei protagonisti e a tentare di dare spessore a un cinema
di consumo che finge di non rinunciare a un presunto impegno. Per il
resto, La finestra di fronte sarebbe l’ormai consueta parata di furbizie
sentimentali ed effusioni stilistiche del nuovo cinema italiano, che
almeno ha scoperto una strada per il botteghino e già questo
sembra un miracolo: tuttavia rendersi conto che a riuscire nel colpaccio
sia un prodotto così disarticolato e incongruo, lascia storditi.
Per trovare conferme, riguardiamo il trailer: qui, non a caso, non si
accenna affatto alla storia di Davide e l’unica inquadratura del faccione
contrito di Massimo Girotti cade nel vuoto, quasi a giustificare il
nome nei credits. Forse al potenziale pubblico, qualcuno avrà
ragionato, non interessa ascoltare la storia di un vecchio rincoglionito;
forse, aggiungiamo noi, nessun montatore sarebbe riuscito a tenere insieme
le due storie in quel breve condensato di senso che è un trailer,
non esistendo un raccordo minimo neanche in tutto il film. Forse, a
conti fatti, più che tornare a vedere il film, conveniva limitarsi
al trailer. Forse conveniva anche più che vederlo.
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