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The Claim,
Gb / Francia / Canada, 2000 di Michael Winterbottom, con Peter Mullan, Milla Jovovich, Wes Bentley, Nastassja Kinski, Sarah Polley ![]() Autore che da sempre ci ha abituato alla massima libertà tematica ed espressiva, Michael Winterbottom torna al melodramma in costume, dopo l'intenso e fiammeggiante Jude; stavolta l'ambientazione, insolità e suggestiva, è quella dell'America dei pionieri, o meglio il neonato paesino di Kingdom Come, in cui si intrecciano le vicende di vari personaggi, tutti accomunati da un sottile ma pervadente senso del destino e dell'ineluttabilità delle miserie umane. Tratto anche questo The Claim (titolo originale) da un'opera di Thomas Hardy, il film ha una struttura più "polifonica" rispetto al precedente, e si differenzia soprattutto per la scelta stilistica "forte" del regista, che decide di immergere storia e personaggi in un'ambientazione magnifica ed opprimente al tempo stesso: la neve che copre tutto il paesaggio è, ovviamente, il leit-motiv visivo che pervade tutta la pellicola, ma al contrario di altri film come Soldi sporchi o Fargo non viene a metaforizzare la miseria umana o la stoltezza dei protagonisti, ma si pone in certo qual modo come visualizzazione poderosa delle correnti che sconvolgono le loro anime; non per niente Winterbottom adopera spessissimo campi lunghi e lunghissimi in ambienti naturali di fortissimo impatti emotivo, come foreste e dirupi completamente coperti da manti bianchi. Ne è così venuto fuori un film supendo da guardare, che non si pone soltanto come una suggestiva cartolina, ma riesce a scuotere lo spettatore anche attraverso una storia di passioni trattenute e non. Grazie alla bella sceneggiatura del fido Frank Cottrel-Boyce,che costruisce un climax ascendente lento ma inesorabile, fino al dispiegamento finale, Le Bianche tracce della vita scorre impetuoso, senza però trascinarci in un vortice smaccatamente melodrammatico: non vi sono scene-madre, né sparatorie, né inutili romanticismi fuori luogo; epprure i vari personaggi sono cratterizzati a meraviglia, ognuno con una sua precisa fisionomia psicologica ed emotiva: in questo, e non poteva essere altrimenti, non potevano essere che di aiuto le grandi interpretazioni di attori di razza come Peter Mullan o Nastassja Kinski, tanto per citare i più famosi (ma anche la Jovovich convince sempre più...). Ottimo esempio di cinema che sa essere autoriale e raffinato anche all'interno di generi e strutture narrative pienamente sfruttati, quest'ultimo lavoro di Winterbottom ha nuovamente evidenziato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, la grande versatilità dell'autore di Butterfly Kiss e Benvenuti a Sarajevo, capace di attraversare i generi e le produzioni più disparate mantenendo comunque un "tocco" personale e sempre riconoscibile. |