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el Angel exterminador,
Messico, 1962 di Luis Buñel, con Silvia Pinal, Enrique Rambal, Jaqueline Andere, José Baviera, Augusto Bendico La prima inquadratura è quella di un cartello stradale: siamo in Calle della Provvidencia. Lultima è quella di un gregge di agnelli che entra in chiesa, tra il suono delle campane e il rumore degli spari della polizia che carica la folla. Poi lagnello di Dio - recita la didascalia finale - salirà allaltare. È lultimo giudizio, la gabbia che imprigiona il peccato si chiuderà per lultima volta e sarà per leternità. Ma sono solo tracce, alcune delle tracce infinite di cui Langelo sterminatore è disseminato, allusioni di percorsi sovrapposti impossibili da battere fino in fondo: religione, politica, esistenzialismo, psicanalisi, surrealismo; nessuna chiave è risolutoria, nessun livello definitivo. Buñuel rinserra lincauto commentatore in un testo-prigione simile al salotto che tiene in scacco i suoi personaggi: le domande sono semplici, le risposte lo sembrano altrettanto eppure non cè via duscita. La bestia! Eccola! Battere diverse piste, abbiamo detto: la prima che salta agli occhi è quella del film come apocalisse moderna. Ma è unapocalisse di cui i destinatari non meritano alcun furore e langelo del titolo, raffigurato su un pannello allinterno del salotto con tanto di spada, nasconde larmadio pieno di vasi dove i protagonisti svolgono le loro funzioni fisiologiche. La separazione dal resto del mondo dei convitati, un gruppo di borghesi prigionieri di un salotto senza motivi apparenti, richiama daltra parte la separazione tra eletti e salvati nel giorno del giudizio e tale schieramento trova sostanza poi nei due più caratteristici contendenti dellapocalisse: la bestia e lagnello. Buñuel chiarisce subito i giochi in una delle prime scene, quando Lucia, la padrona di casa, dopo essersi allontanata dalla sala da pranzo intima al cameriere di tenere fuori gli animali, un orso e tre agnelli: forse intrattenimento previsto ma sgradito a qualche invitato o forse pura apparizione incongrua tipicamente Buñueliana, vaghissima è la funzione narrativa degli animali, che inizialmente operano solo come perturbante visivo, come uno degli indizi della crisi che lentamente va investendo lallegra brigata. Ma una volta scattata limmaginaria serratura che stipa tutti in salotto senza possibilità di fuga, orso e agnelli si ritrovano a scorrazzare per la casa: la presenza del primo è subito rilevata come causa della fantomatica prigionia (La bestia! Eccola! Saremo prigionieri finché non lascerà questa casa ), mentre i secondi sono accolti nella stanza. Se lagnello ha ovviamente un valore religioso sacrificale (il sacrificio di Cristo per la redenzione dellumanità) e nellapocalisse è il diretto antagonista della bestia, il ruolo a cui vengono deputati i tre malcapitati è molto più prosaico (lo spiedo), vista la scarsità di cibo che attanaglia la congrega: viene contraddetto quindi il carattere di disinteresse, di spreco necessario a qualsiasi sacrificio e luccisione dellultimo agnello, che viene anche scrupolosamente bendato, è inoltre evidentemente parodica, tanto più che contigua a un rito satanico consumato da Ana con delle zampe di gallina che dovrebbero fungere da porte verso lignoto. Lagnello è spogliato quindi del ruolo simbolico consueto e capovolto ad un uso brutalmente mangereccio prima, satanico poi. Destino simile spetta al padrone di casa, Edmundo, che lentamente diventa il capro espiatorio della situazione arrivando ad essere minacciato di morte dagli altri invitati: ma il possibile martirio allo scopo della liberazione del gruppo, con parabola cristologica annessa, si rovescia infine in una sorta di rito della fertilità, poiché lincantesimo si rompe proprio nel momento in cui lo stesso Edmundo toglie la verginità alla valchiria, Leticia (reduce peraltro dalla Lucia di Lammermoor e ricordiamo che la moglie di Edmundo si chiama Lucia ). Buñuel sembra baloccarsi con limmaginario biblico manipolando simboli ad uso dei suoi mediocri protagonisti e svilendone quindi ogni portata reale. Solo quando, nellultima sequenza, a trasformarsi in prigione è la chiesa dove si celebra il Te Deum promesso in cambio dello scampato pericolo, tornano gli agnelli, associati alle campane e agli spari sulla folla: lapocalisse stavolta sembra seria, non è più lesperimento-parodia del salotto, ma le parti sono confuse. La salvezza - se di salvezza si tratta - sta in strada in mezzo agli spari o nella chiesa-prigione? Porte chiuse? Se poi è linferno ad essere in gioco, il salotto trasformato in luogo di supplizio assomiglia non poco al salotto secondo impero in cui si sconta la pena eterna in A porte chiuse di Jean-Paul Sartre. Stesso perimetro chiuso, stessa parata di banalità borghesi la cui inconsistenza si lega paradossalmente a una situazione eccezionale, ma soprattutto stessa trappola psicologica: la porta non è chiusa a chiave, ma non si può comunque fuggire. Linferno illustrato da Sartre è in realtà la negazione di una prospettiva trascendentale, in quanto i tre protagonisti trovano la loro punizione relazionandosi lun laltro, nei sensi di colpa che non nascono da un esame interiore ma dallesposizione impietosa di se stessi allo sguardo altrui in un luogo dove non ci sono specchi né si dorme né si abbassano le palpebre (eternità di uno sguardo senza tagli, consapevolezza imperitura, e quindi disumana, dellocchio; daltra parte il taglio dellocchio che inaugura il cinema di Buñuel è il tentativo, umano, di allargare attraverso larte lorizzonte del visibile). Gli altri come condanna e necessità, la libertà come peso impossibile da sostenere. Tale universo concentrazionario, che Sartre sviluppa più verso la messa a nudo dei rapporti di potere interpersonali (come fa Buñuel, anche lui con la passione degli spazi chiusi, in Violenza per una giovane o Robinson Crusoe), diventa per il regista spagnolo rivelatore della generale impotenza delle vittime dellangelo. Ridotti al livello di sopravvivenza i nostri borghesi tentano la conservazione di una serie di piccoli rituali legati al bon-ton, alle pratiche massoniche, alla superstizione, ma la caduta di un sistema minato alle radici è irrefrenabile. Tanto più che tali pratiche superficiali esorcizzano ben altro: tre pannelli prospicienti il salotto sono deputati a nascondere i bisogni corporali, i due giovani amanti (poi suicidi), il cadavere occultato di uno degli invitati. Il salotto insomma conserva la qualità di spazio sociale controllato, da cui, oltre a tenere lontana la puzza della stanza dei vasi, è necessaria la rimozione dello scandalo legato a sesso e morte. Le porte chiuse quindi si moltiplicano, reali o meno, e naturalmente si aprono e si chiudono. E se levento che forse più segna linizio dellincantesimo è il lancio di un sasso contro la finestra della sala da pranzo da parte della valchiria, che infrange così illegittimamente il luogo di raccolta del gruppo, la deflorazione della stessa dà il via invece al processo di (momentanea) liberazione. Sciopero I movimenti sono quasi inconsapevoli, a guidarli è un istinto di origine sconosciuta: prima che la trappola scatti, la servitù di casa di Edmundo e Lucia prepara la fuga. Tanto più ne vengono taciuti i motivi, tanto più sembra inevitabile e, sfidando gli anatemi del licenziamento lanciati dalla padrona di casa, la nave che affonda è abbandonata. Uno dei primi eventi che segna lincepparsi della routine quotidiana è la caduta del cameriere che porta il piatto esotico di riso previsto per inaugurare il banchetto: il legame tra servo e servito si interrompe in modo evidente, anche se sempre a un livello inconsapevole. A prima vista sembrerebbe di assistere a uno sciopero, la sottrazione della forza lavoro che genera limpasse della classe borghese. Ma Buñuel non tende a rappresentare (sempre in veste metaforica) dinamiche di classe, volontà di lotta e emancipazione: la sua è la descrizione fantastica di un processo fisiologico, quello della decadenza della classe borghese, riflesso storico involontario che non ha bisogno di interventi esterni né di rivluzioni. Dopo aver abbandonato la casa al suo destino, la servitù si ritrova casualmente lì davanti proprio quando sta per avvenire la liberazione, pronta con ogni probabilità a riprendere il suo ruolo a fianco del maggiordomo, rimasto con i padroni e vittima anche lui della trappola. Questa campione di borghesia si consuma per autocombustione, passando in rassegna nellultima fiammata il proprio repertorio di imbecillità: è un tentativo di sopravvivenza, ma alla fine la salvezza è affidata proprio alleffetto di uninesausta ripetizione di banalità. Leticia, appena sverginata da Edmundo, si accorge che il gruppo è disposto nel salotto nello stesso modo identico a quando ascoltava suonare il pianoforte: replicando stesse battute di circostanza e stessi movimenti si riesce a rompere lincantesimo. La borghesia riacquista potere avviando di nuovo il proprio ciclo biologico, supera ogni crisi storica rimanendo se stessa e rigenerandosi allo stesso tempo. Ma, come avverte la sequenza finale, la crisi resta sempre in agguato: in attesa purtroppo di nuove rigenerazioni. |